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Narco News Issue #44

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Marcos: “Sfidare e sconfiggere il mostro”

Parola dei comandanti Yolanda, David, Tacho e Kelly; canzoni di Eduardo, Guillermo e David da El Mayor, Baja California, regione nordoccidentale del Messico


di Comandanti e del Subcomandante
La Sexta Commissione dell’EZLN

19 aprile 2007

El Mayor – Bassa California – 10 aprile 2007
Parole del subcomandante Insurgente Marcos

Buongiorno compagni e compagne. Alcuni mesi fa, come commissione sesta, siamo passati da qui per la comunità del Mayor e siamo stati ricevuti con le autorità tradizionali, dalle donne. Ci avevano parlato del dolore che provavano perché non si permetteva al Cucapá ed al Kiliwua di vivere con dignità; ci avevano raccontato il dolore per le aggressioni ricevute da parte dei mal governi che non esistevano quando il Kiliwua ed ilCucapá vivevano una volta in queste terre; ci avevano raccontato di come le donne ed i bambini erano minacciati dalle truppe del governo mentre quelle stesse truppe permettevano che i grandi proprietari delle grandi barche si portassero via il pesce per venderlo da altre parti, sotto bandiere straniere.

Noi avevamo proposto loro, c’era anche il dottore, di fare una specie di accampamento per accompagnare il Cucapá ed il Kiliwua nella sua pesca e nel suo diritto a sopravvivere. Là in Chiapas anche noi stiamo lottando per la dignità del fronte dei popoli indios e c’è con noi una delegazione dei miei capi: sono uomini e donne che sono i comandi laggiù nelle comunità zapatiste indigene Tzotziles, Tzeltales, Choles, Tojolabales, Zoques e Mames. Allora avevamo pensato che fosse bene unire la nostra lotta con quella degli uomini e delle donne che più di novemila anni fa abitavano già queste terre.

Dopo aver ascoltato la parola delle compagne, come Monica, come Susana, così come dei compagni Kiliwua che ci avevano ricevuto quella volta, siamo tornati alle nostre montagne a domandare ai nostri morti la storia del Kiliwua e la storia del Cucapá e ci hanno raccontato come si formò questa terra, come si formò il mare, come si formò il Río Colorado e come si formarono queste montagne.

Oggi, questo pomeriggio, nell’omaggio ad Emiliano Zapata, racconteremo la storia che ci hanno raccontato i nostri morti su come nacque il Kiliwua e come nacque il Cucapá ed ora chiedo ai miei compagni capi, che ci dicano le parole che portano a nome delle comunità indigene zapatiste del sudest messicano.

Ha la parola il comandante David, capo della delegazione.

El Mayor – Bassa California – 10 aprile 2007
Parole del comandante David

Auguro un giorno molto buono a tutte ed a tutti i presenti. Col permesso delle autorità kiliwuas, kukapá e delle altre autorità che vengono dalle differenti regioni di questa zona nord del nostro paese e di tutti i presenti, a nome pure dei miei compagni e delle mie compagne comandanti di questa commissione sesta, voglio fare l’uso della parola.

A nome dei miei compagni e compagne basi d’appoggio, bambini, giovani, donne, anziani delle terre chiapaneche del sudest messicano, ricevete un saluto fraterno e rivoluzionario. Davanti a voi, davanti a tutti i presenti, a nome di tutti, voglio parlare soprattutto della situazione in cui vivono i nostri popoli del sudest messicano, le comunità indigene, le comunità in resistenza, le comunità delle basi di appoggio dell’EZLN, affinché capiate un pochino, affinché si capisca più o meno come è la realtà là nei nostri villaggi.

Da quando ci siamo alzati in armi nel 1994, abbiamo recuperato le terre che stavano in mano dei grandi latifondisti, perfino degli stessi che erano al governo in quegli anni. Quando ci siamo sollevato in armi noi popoli indigeni abbiamo recuperato terre. Ora quello che sta succedendo fratelli, compagni, compagne in questi momenti, è che il governo statale, il governo federale, attraverso i gruppi paramilitari indigeni degli stessi villaggi e delle stesse comunità, attraverso i partiti politici ed altre organizzazioni governative, ora quello che stanno facendo è toglierci di nuovo le terre che abbiamo recuperato. Si stanno organizzando i paramilitari per sgomberare le nostre comunità zapatiste. Queste nostre comunità che sono basi di appoggio, dal ‘94 stanno lavorando la terra, stanno curando le montagne, gli animali, l’acqua e tutto ciò che esiste in quei posti. Ma i paramilitari stanno cercando di sgomberare le nostre comunità, perché, insieme ai latifondisti, vogliono recuperare di nuovo le terre per tornare di nuovo a saccheggiare le ricchezze naturali, perché in quei posti ci sono molti alberi, ci sono molti animali, c’è acqua, ci sono laghi, ci sono fiumi, ci sono sorgenti. Per approfittare delle ricchezze naturali, ora vogliono tornare ad averle nelle loro mani. È quello che vogliono fare adesso là.

Allora le nostre comunità, i nostri compagni e le nostre compagne basi di appoggio stanno tentando di resistere a tutte le minacce, a tutte le persecuzioni del governo e dei paramilitari. Stanno tentando di resistere affinché non riescano a mandarli via di nuovo, affinché la terra… perché sia davvero di chi la lavora. Allora i nostri villaggi insieme alle loro autorità autonome di differenti zone e regioni stanno cercando di resistere in modo organizzato, stanno tentando di unirsi ai villaggi, alle comunità, perché è l’unica maniera per garantire che non tornino a togliere loro la terra, che non rubino un’altra volta quello che non appartiene a loro.

I nostri popoli sono ora in resistenza civile e pacifica. Perché quello che vogliono i paramilitari è provocare, affinché ci siano scontri tra fratelli indigeni, zapatisti e fratelli che appartengono ai differenti partiti politici e che si sono organizzati in gruppi paramilitari. Quello che vogliono è che ci siano scontri armati tra villaggi affinché ci sia la scusa per un intervento dei soldati messicani e della polizia, affinché il governo possa dire che c’è scontro tra fratelli indigeni, che ci sono problemi interni in ogni villaggio. Questo è ciò che vuole il governo. Allora i nostri villaggi stanno tentando di organizzarsi in maniera pacifica per difendere le nostre terre, per difendere quello che appartiene loro, per difendere quello che abbiamo recuperato dal ‘94. Perché nei nostri villaggi ora, stanno lavorando le terre recuperate, le stanno lavorando in collettivo, le stanno facendo produrre, stanno tentando di curare gli alberi, i fiumi, le sorgenti, gli animali, tutto quello che esiste in quei posti. È quello che stanno facendo i nostri villaggi con le loro autorità autonome.

Ma il problema ora compagni e compagne, è che il governo cerca in tutti i modi di dividere i villaggi. Nelle comunità in resistenza come là (noi le chiamiamo comunità in resistenza perché non accettano le briciole né del governo statale né di quello federale), i nostri popoli stanno sopravvivendo coi propri sforzi, col loro lavoro in collettivo e quello che fa il governo è mandare aiuti alle comunità col fine di dividerle. Dà loro alimenti scaduti, porta loro alcune lamine per il tetto dicendo loro che sono per un’abitazione degna, per una latrina degna dà solo un paio di lamine, e poi si portano via qualcosa di effettivo. In questo modo vuole dividere le nostre comunità. Ci sono fratelli indigeni che non si rendono ancora conto della realtà, non hanno preso coscienza ed allora cadono in questa trappola del governo, ricevono gli aiuti purché si mettano contro gli zapatisti.

Quindi è chiaro ciò che sta facendo il governo statale del sudest messicano, il governo federale: è tentare di frazionare le comunità indigene perché litighino fra di loro in modo che il popolo perda forza, si disorganizzi, si divida. Questo è quello che cerca di fare il governo: si è messo dappertutto per provocare divisione, per causare confusione tra i compagni indigeni. Questo è quanto sta succedendo lì, compagni e compagne. Ma siamo sicuri che resisteremo a queste manovre del governo. I nostri villaggi e le nostre comunità hanno saputo resistere per molti anni ed ora dal ‘94 alle minacce militari, agli accerchiamenti militari. Per questo siamo sicuri che anche questa volta resisteremo.

E resisteremo anche meglio e di più ora, con l’unità e l’appoggio di altri fratelli e sorelle dei vari stati del nostro paese e dei fratelli pure di altri paesi del mondo. Resisteremo compagni e compagne, i nostri popoli sono disposti a resistere in difesa della loro terra, delle loro risorse naturali, di tutto quello che ci dà vita perché come popoli, come contadini e soprattutto come indigeni, abbiamo saputo da soli curare le nostre terre, le nostre acque, i nostri boschi, i nostri monti e le nostre montagne… da secoli abbiamo imparato curarli. Per questo siamo sicuri che possiamo resistere ma con l’appoggio di tutti, da queste terre, da questo altro angolo della nostra patria, voglio mandare un saluto ai compagni ed alle compagne che stanno ora nell’accampamento civile nel Hiutepec, nella città di San Cristóbal de Las Casas. Ora sono nell’accampamento, come voi di sicuro sapete già, e stanno lì nell’accampamento civile con l’appoggio di altri compagni e compagne aderenti all’altra campagna della 6^. Voglio mandar loro un saluto da questo posto, da questo angolo della nostra patria, affinché lì i compagni e le compagne sentano e vedano che stiamo cercando l’unità tra tutti e tutte, affinché tra tutti quanti possiamo resistere e difendere quanto ci appartiene.

Noi popoli indigeni, noi popoli contadini abbiamo il diritto di difendere ciò che ci appartiene. È anche nostro dovere unirci, organizzarci e difendere ciò che ci appartiene per diritto, per storia, perché siamo popoli, perché siamo gli originari ed i primi di questa terra. Per questo vi dico che là i nostri compagni nel sud stanno nell’accampamento civile e voglio inviare loro un saluto da qua ed anche a nome di tutti voi ed a nome di tutti i popoli indigeni di queste terre affinché arrivi un saluto là ai compagni nel Huitepec.

Questa è la mia parola, compagni compagne. Grazie per avermi ascoltato.

El Mayor – Bassa California – 10 aprile 2007
Parole della Comandante Yolanda

Buon giorno a tutti e a tutte, compagni e compagne. A nome dei nostri compagni e delle nostre compagne ed a nome del nostro compagno Subcomandante Insurgente Marcos vi rivolgo alcune parole.

Mi fa molto piacere essere arrivata qui a stare con voi in questo momento. Voglio dirvi che noi, donne zapatiste in Chiapas, stiamo lavorando e facendo uno sforzo per proseguire la lotta. Dove stiamo noi, è un posto dove c’è ancora vita, ma quello che succede, è che c’è molto sfruttamento in differenti forme. Ma noi le donne sentiamo che è un dovere ed un impegno proseguire nella lotta.

Voglio dire a voi tutti che siete qui presenti, che anche voi siete già in piede nella lotta, che è bello che vi stiate già organizzando. Questa è la cosa più importante. E dobbiamo andare avanti nella lotta perché senza la nostra partecipazione non si può avanzare. Solamente con lo sforzo di tutti noi uniti: uomini, donne, ragazze, bambini ed anziani possiamo andare avanti.

Noi, come madri, dobbiamo riprodurre i popoli. Da molti anni, i mal governanti ci vogliono eliminare, ammazzando i nostri diritti, ma la miglior cosa che possiamo fare è unirci per recuperare le nostre culture, affinché abbiamo una vita giusta e non lasciar che il mal governo ci domini e ci annienti. Noi, come madri, diamo vita in questo mondo affinché la guerra, la possiamo anche chiamare così, ed il nemico non ci annullino.

E questa è tutta la mia parola, compagni e compagne. Molte grazie.

El Mayor – Bassa California – 10 aprile 2007
Parole del Comandante Tacho

Compagni e compagne, buongiorno a tutti.

Parlerò a nome di questa delegazione e col permesso delle autorità tradizionali. Compagne e compagni dell’Altra Campagna di Messico e del nord dell’altra parte. Fratelli e sorelle indigeni Cucapas, Kiliwuas. A nome di questa delegazione ricevete il nostro saluto, e ricevete anche il saluto dei nostri compagni e compagne basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale: uomini, donne, bambini, anziani. Vogliamo porgervi anche il saluto dei nostri compagni e compagne insurgentes ed i saluti dei nostri compagni miliziani responsabili locali, regionali e comitati dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Vi ringraziamo di averci ricevuti e per tutti gli sforzi fatti per permetterci di essere qui. Ma vi ringraziamo molto, compagni e compagne, tutti e tutte, di aver deciso da voi stessi, di lottare lottare per i nostri diritti, perché siamo degni, per quello che ci spetta, per quello che è nostro.

L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale si è ribellato in armi contro malgoverno ed abbiamo detto Basta! nel 1994; sono passati più di 500 anni nell’oblio e crediamo che questo oblio, questo stesso, stia passando in questi luoghi del nord del Messico. Ma come è già stato detto, non siamo qui perchè ci si organizzi per la guerra, ma siamo venuti a dirvi di lottare, abbiamo portato la lotta e siamo qui per lottare insieme.

Noi abbiamo detto basta alle malvagità di questi malgoverni di questo sistema, dei padroni del denaro, di quelli che vogliono comandare tutto un popolo che siamo maggioranza, siamo degni e padroni, siamo eredi dei nostri antenati, delle nostre terre, dei nostri suoli e dei nostri cieli.

Siamo noi che abbiamo ereditato dai nostri padri e per questo i malgoverni ci combattono, perché vogliono che il nostro sia loro, hanno già tentato di prenderlo ed ora ancora di più.

Le leggi che hanno fatto con le istituzioni ed i poteri sono contro tutti i popoli indios del Messico e di tutta la classe lavoratrice in Messico.

Quelli che prima si dicevano essere i rappresentanti nel congresso dell’unione, oggi rappresentano i padroni del denaro, i capitalisti, gli sfruttatori.

Questi poteri sono accompagnati dalle istituzioni, quelle che portano avanti i piani mettendo in testa a noi indigeni, lavoratori, contadini ed operai e tutta la classe lavoratrice, che solo loro possono e sanno fare le cose come vogliono.

E noi diciamo che questo non è vero, compagni e compagne.

L’abbiamo visto perché le loro azioni sono state, per 500 anni, contro la nostra vita: per essere degni, essere padroni della terra, dei fiumi, dei mari, delle sorgenti e delle fonti di acqua.

Siamo noi i padroni perché noi siamo arrivati prima di loro, e loro sono venuti a conquistarci per strapparci quello che è nostro.

Perciò, noi, in tutto questo tempo, i nostri morti, i nostri nonni, bisnonni, tutti loro sono con noi perché anche a loro è toccato lottare e difendersi contro questa conquista.

Compagni e compagne, vogliamo dirvi ancora una volta, che oggi dobbiamo lottare insieme, perché oggi commemoriamo anche la lotta esemplare del Generale Don Emiliano Zapata Salazar, per questo vi portiamo un saluto speciale dei nostri compagni e compagne delle comunità zapatiste: tzoltziles, tzeltales, tojalabales, choles e mames. Ricevete i nostri saluti compagni.

Per questo motivo, fratelli e sorelle dell’Altra Campagna, vi invitiamo a lottare insieme e per questo oggi siamo qui per ascoltarvi ed insieme a voi, con le vostre domande, facciamo il programma nazionale di lotta; siamo venuti per questo, per ascoltare tutti e tutte voi, per questo siamo qui, compagni e compagne.

Non crediamo agli inganni di questi malgoverni, noi siamo capaci, tutti e tutte uomini e donne, abbiamo la capacità di governarci, di vivere come viviamo, non abbiamo bisogno che qualcuno venga a dirci quello che dobbiamo fare.

Perché come in altre epoche, tutti vogliono che tutto si muova intorno al denaro, cioè, che si venda e si compri, per questo hanno fatto le leggi, per sottometterci, un’altra volta, come ai tempi di Porfirio Díaz, al tempo della schiavitú, sappiamo dove ci vogliono portare, e per questo, non so come dirlo in buona o cattiva maniera, vogliono umiliarci, vogliono addomesticarci, vogliono farci credere che l’idea dei ricchi è la migliore e che noi non possiamo vivere come di sappiamo vivere.

È questo che vogliono.

Ed allora quello che dobbiamo fare, perchè vediamo quello che vogliono farci, dobbiamo lottare, dobbiamo unirci, senza pensare a quello che riceveremo in cambio, l’unica cosa che riceveremo è di sapere di lottare insieme e che vinceremo questa lotta.

Molte grazie compagni.

El Mayor – Bassa California – 10 aprile 2007
Parole della comandanta Kelly

Oggi, 10 aprile 2007, è un giorno molto importante per il nostro Generale Emiliano Zapata che ogni anno ricordiamo e celebriamo con un giorno speciale, non per la sua morte ma per gli ideali di lotta esemplare di don Emiliano Zapata.

Vide la sofferenza degli indigeni contadini, per questo il 20 novembre dell’anno 1910 si alzò in lotta, quando molti contadini si sollevarono in armi e davanti stava il Generale Don Emiliano Zapata: egli guidò ed organizzò per difendere le terre che erano nelle mani dei grandi latifondisti, e per questo i malgovernanti di questo tempo, di questi ed altri tempi, perseguitano, assassinano tutti quelli che lottano degnamente per i diritti che ci spettano, in quel caso i contadini.

La lotta per la terra, come diceva il suo slogan “Terra e Libertà”: terra per chi la lavora.

Questa causa è giusta e degna per i contadini indigeni. Per i malgovernanti è un crimine e per questo lo perseguitarono, ma siccome non potevano farlo apertamente, lo tradirono e quell’assassinio a tradimento compie oggi 88 anni, perché come oggi , 10 aprile, ma nell’anno 1910, lo ammazzarono a Chinameca in una maniera vigliacca, proprio come ammazzano e assassinano i malgovernanti.

Per questa lotta esemplare per i contadini pagò con la sua vita, per questo noi come zapatisti portiamo il suo degno nome per la sua lotta, per i suoi ideali, perchè non si vendette e non si arrese.

Noi zapatisti lottiamo anche per democrazia, libertà e giustizia, per tutti.

Per questo percorriamo il nostro paese, per incontrare i nostri fratelli poveri, per cercare l’unità e poter lottare insieme, pur sapendo di mettere in pericolo la nostra vita, perché sappiamo che i governanti e i potenti sono traditori ed assassini, come fecero col nostro Generale Emiliano Zapata… ma non importa, noi andiamo avanti, succeda quel che succeda, perché crediamo che è arrivata l’ora di lottare insieme, indigeni contadini e con tutti e tutte i lavoratori del nostro paese.

È tutto.

SFIDARE E SCONFIGGERE IL MOSTRO

[Racconto letto dal Sup il 10 aprile 2007 – nella comunità indigena Cucapá di El Mayor – Bassa California – Messico]

Alcuni mesi fa, quando il mese di dicembre si lasciava cadere nelle foglie del calendario e gennaio albeggiava freddo di incertezze, salii sulle nostre montagne in cerca dei nostri morti che vivono, quegli uomini e quelle donne che chiamiamo “I Guardiani”, per domandare al loro cuore cos’è quello che il nostro passo aveva incontrato in basso, ma a molte lune di cammino dal nostro suolo.

Avevamo visto ed ascoltato il dolore del Cucapá, il Kiliwa aveva reso in parole la sofferenza dalla sua gente ed il Kumiai aveva parlato di un’ingiustizia che uccideva il suo territorio. Molte domande riempivano d’inchiostro il malconcio quaderno di appunti del sesto cammino dello zapatista.

I Guardiani tacquero per un lungo momento. Mentre la notte abbondava dei suoi suoni ed un silenzio, come un rintocco, annunciò l’alba.

Parlò allora il più vecchio, il più primo dei Guardiani, e così mi disse:

“Là dove il sole cammina e la stella che sta in alto comanda nel cielo, c’è gente che fu creata dal fumo e che nacque dai sogni degli dei.

Raccontano gli anziani di questa gente, che al principio il mondo era acqua ed oscurità, come un’ombra umida, come un ventre nel quale stavano i due primi dei.

Questi dei cominciarono a fumare tabacco e, col fumo come forza, uscirono nel mondo quando il mondo non era ancora mondo.

Uno vedeva, l’altro era cieco.

Questi dei ordinarono alle formiche di muovere la terra e separarla dalle acque.

I due dei aspettarono che la terra si asciugasse e poi cominciarono a creare tutti gli uomini e le donne del mondo. Fecero gli indigeni, i messicani, i cinesi, gli americani.

Uno degli dei, quello che vedeva, faceva gli uomini e le donne di corsa, senza nemmeno pensare e senza cura. L’altro, il dio cieco, con calma svolgeva il suo lavoro e siccome non vedeva, faceva gli uomini e le donne secondo i suoi sogni ed il fumo del tabacco che fumava. Fu così che questo dio creò i Cucapás.

Li fece di sogni e fumo. Li fece buoni.

I primi uomini e donne non avevano occhi. Il dio che vedeva disse di mettergli gli occhi nelle dita dei piedi. I primi uomini e donne avrebbero avuto dieci occhi. Ma il dio cieco pensò che fosse una brutta idea, perché camminando gli occhi si sarebbero riempiti di fango e polvere, e si sarebbero feriti. E pensò che sarebbe stato meglio in testa, e che sarebbero stati meglio due occhi, così se uno si feriva si poteva vedere con l’altro.

Dunque il Cucapá fu ben fatto, perfetto lo fecero, con i suoi due occhi.

Ma che ci stavano a fare gli occhi, visto che tutto era oscuro e non si vedeva niente.

Allora il dio che ci vedeva volle fare il sole, ma siccome faceva le cose di fretta e senza attenzione, gli venne molto piccolo e con la luce molto debole, pallida. Quel primo sole non riusciva a riempire di luce il mondo.

Allora il dio cieco sognò che così non andava bene, ed incominciò a fare un altro sole, a poco a poco, prima una parte e poi un’altra parte, e così fino alla fine. Quando fu finito, lo lanciò in cielo in modo che incominciasse il suo cammino da una parte e lo finisse dall’altra.

E chiamò “est” dove il sole incominciava il suo cammino e “ovest” dove finiva.

Ed il dio che ci vedeva si irritò perché vide che era migliore il sole fatto dal dio cieco e, come si dice, si arrabbiò ed andò a buttare nella spazzatura il sole che lui aveva fatto tanto piccolo e pallido.

Ed il dio cieco gli disse che non serviva fare così, che anche quel sole piccolino aveva il suo compito, e l’afferrò e lo lanciò sullo stesso cammino del sole grande, ma un po’ dopo.

E lo chiamò “luna” e così gli uomini e le donne seppero come misurare il giorno e la notte, ed i mesi e le stagioni.

Poi il dio cieco se ne andò, irritato per le molte marachelle che combinava il dio che ci vedeva. Ed il dio che ci vedeva rimase solo ed insegnò agli uomini ed alle donne a parlare e a vivere.

Portò molte cose e le distribuì equamente tra tutti gli uomini e le donne che erano come bambini e bambine, perché il mondo era ancora giovane ed era come un bimbo che non sa ancora camminare. Ed i bambini americani e messicani piangevano molto perché volevano tutto per loro, ed i bambini Cucapás erano così infastiditi dal sentire il piagnisteo degli americani e dei messicani che dissero al dio che ci vedeva di dare tutto ai messicani e gli americani affinché tacessero.

Così fece il dio che ci vedeva, ma perché non restassero senza niente, diede ai Cucapás archi e frecce, reti per pescare e tabacco per fare bei sogni.

Raccontano gli anziani che i Cucapás hanno buoni sogni e che così si chiamava prima quello che ora si chiama dignità.

E raccontano che c’è un luogo nella terra del Cucapá che si chiama “Cerro del Águila”.

E che fu lì, vicino alla comunità indigena di El Mayor, dove il mostro fu sfidato da un giovane e sconfitto da una donna, entrambi della stirpe dei Cucapás.

E raccontano che accadde così:

Nel Wí Shpa, il Cerro del Águila, là nella comunità indigena di El Mayor, viveva una signora zia Cucapá ed un suo nipote Cucapá.

A quel tempo tutto era molto grande, gli indigeni erano dei giganti.

Non erano arrivati i messicani né i gringos, solo gli indigeni vivevano in quelle terre.

Non c’era il mare né il fiume Colorado, tutta era terra ai piedi del Cerro del Águila.

Allora vivevano anche molti mostri giganti nel mondo. Ed il più grande, il più orribile ed il più brutto di tutti viveva a sud del Cerro del Águila. Tutti avevano molta paura. I Cucapás non potevano andare alla ricerca di agnelli, cervi e galline di montagna da allevare e mangiare nelle proprie case.

Allora il nipote Cucapá sognò di andare ad uccidere il mostro che faceva tanto male alla sua gente. Andò dunque da sua zia Cucapá per dirle che andava ad uccidere il mostro, che non avrebbe fatto tardi, che sarebbe tornato presto e che non stesse in pensiero.

E la zia Cucapá dapprima divenne triste, ma poi si arrabbiò e rimproverò il nipote Cucapá. Gli disse che era pazzo, se non sapeva che il mostro era molto terribile e che sicuramente se lo sarebbe inghiottito in un sol morso.

Ma il nipote Cucapá non l’ascoltò, perché aveva il suo arpione da pesca, la sua rete, il suo arco e le sue frecce, il suo copricapo di piume d’aquila ed il suo bracciale.

Di buon mattino, mentre la zia Cucapá dormiva, il nipote Cucapá andò ad uccidere il mostro e portò con sé il suo cagnolino, un cagnolino molto carino.

Partirono e camminarono molto verso sud, c’era solo terra. Poi trovarono il mostro che dormiva profondamente, e quando russava tremava la terra.

Il nipote Cucapá vide che il mostro aveva una palla, o meglio un testicolo, di colore azzurro, e l’altro colorato.

Il nipote Cucapá si avvicinò pian pianino al mostro e lo punse nelle palle, o meglio nei testicoli.

E cominciò a zampillare acqua dai fori che il nipote Cucapá aveva fatto in ognuno dei testicoli del mostro.

Da un lato usciva acqua azzurra e si creò il mare, quello che adesso si chiama Golfo della California.

Dall’altro testicolo usciva acqua colorata e si creò il fiume che si chiama Rio Colorado.

Ma il mostro non morì, e si arrabbiò perché gli dolevano molto le palle, o meglio i testicoli. E cominciò ad inseguire il nipote Cucapá per mangiarselo in un boccone.

Il mostro era brutto, ed arrabbiato era ancora più brutto, ed ora sì , come si dice, che il nipote Cucapá ebbe paura e si mise a correre insieme al suo cagnolino.

E scapparono per il Cerro del Águila.

Il mostro li inseguì ed il mare entrò nella terra, attraverso l’acqua azzurra che continuava ad uscire dal testicolo azzurro del mostro.

Ogni tanto, il nipote Cucapá abbandonava delle cose, come l’arpione, la rete, l’arco e le frecce, il copricapo di piume, il braccialetto, per fermare il mostro che lo inseguiva. Ma il mostro si soffermava solo un breve momento e poi proseguiva nell’inseguimento. Il nipote Cucapá abbandonò perfino il cagnolino per fermare il mostro, ma il mostro non si fermò.

Il nipote Cucapá è esausto, stanco per la corsa e sente che il mostro lo raggiungerà. Allora chiama la zia Cucapá.

La zia Cucapá uscì a vedere che cosa stesse succedendo e rimproverò il nipote Cucapá, ma vide che il mostro stava arrivando per mangiarsi suo nipote Cucapá.

Allora la zia Cucapá si fece coraggio e si arrabbiò per quello che avrebbe fatto il mostro, si tirò fuori una palla di cerume dall’orecchio e fece una pietra molto dura che scagliò in testa al mostro, ma lo stordì soltanto.

Allora tirò fuori più cerume dall’orecchio e fece un’altra pietra, e la scagliò contro il mostro uccidendolo sul colpo”.

Il Guardiano più primo di tutti, fece silenzio e prese una sigaretta. Quindi mi disse: “Andate a nord, dove il sole dorme. Andate a El Mayor e sul fiume Colorado. Cercate il Cucapá. I loro giovani vi aiuteranno a sfidare il mostro e le loro donne vi aiuteranno a sconfiggerlo”.

Così ci risposero I Guardiani, con la storia del Cucapá. Così ci dissero.

Per questo siamo tornati in queste terre.

Perché vogliamo il vostro aiuto per sfidare il mostro, perché abbiamo bisogno del vostro appoggio per sconfiggerlo…

Molte grazie

Subcomandante Insurgente Marcos
10 aprile 2007
Comunità indigena Cucapá di El Mayor – Bassa California – Messico

(traduzione del Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo e del Comitato Chiapas di Torino)

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