Miriam: “Dal campo e dalla città... insieme andiamo avanti a costruire una vita degna”
I Comandanti Eucaria, Miriam e Zebedeo parlano da Monterrey, Nuevo León, nella regione Nordorientale del Messico
di Comandantes Eucaria, Miriam e Zebedeo
La Sexta Commissione dell’EZLN
19 aprile 2007
Parole della Comandante Eucaria
Buona sera compagni e compagne.
Sono la comandante Eucaria, delegato numero diciotto della commissione sesta dell’altra campagna. Sono stata inviata dai villaggi zapatisti del caracol quattro di Morelia, municipio Olga Isabel.
Compagne e compagni ricevete un grande saluto da parte di tutte le compagne ed i compagni basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
Sono molto contenta di stare qui con voi, in questo giorno così importante per tutti e tutte.
Noi come uomini e donne indigeni abbiamo subito ogni tipo di sfruttamento, per cui non ci rimane più altra strada che lottare e resistere contro il mal governo.
Per questo sono qui con voi per invitarvi a lottare insieme ed uniti, uomini e donne e bambini, anziani e maestri e studenti e operai e lavoratori del campo e della città... con tutti quelli che hanno voglia di lottare per un Messico migliore affinché proseguiamo nella nostra lotta.
Grazie.
Parole della Comandante Miriam
Buona sera compagni e compagne.
Io mi chiamo comandante Miriam e sono la delegata tre, siamo state nominate a far parte di questa delegazione dai nostri villaggi basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, zona Tzotz Choj, caracol 4 di Morelia.
Sono molto contenta di stare con voi in questo posto, nello stato di Monterrey.
Sappiamo che in questo giorno, che è un giorno molto speciale per noi, si commemora un anno in più dalla morte del nostro generale Emiliano Zapata che lottò per terra e libertà, per noi uomini e donne. Però non è morto perché la sua storia vive in ognuno di noi, che siamo gli eredi di quei passi che seguiamo e presto ci seguiranno altri passi di quelli che vengono dietro. Cosicché i nostri morti non sono morti, sono vivi.
In questa seconda tappa dell’altra campagna c’è il lavoro che dobbiamo fare e ora col permesso del nostro grande generale mi permetto di raccontare le storie del nostro popolo in lotta, di come vivevamo prima noi donne.
Noi, le donne nel nostro popolo in Chiapas, viviamo nello sfruttamento perché non ci prendono in considerazione, ci sfruttano perché siamo povere, ci disprezzano perché siamo indigene, per la nostra cultura, per la nostra lingua e per il nostro colore. Ci discriminano perché siamo donne: dicono che non valiamo niente, che serviamo solo per occuparci della casa e badare ai figli e soddisfare il marito.
Non abbiamo ospedali né medicine e con tristezza vediamo i nostri figli morire fra le nostre braccia. Non c’è mai stata assistenza sanitaria e non c’è educazione per cui la maggioranza di noi non sa né leggere né scrivere o addirittura parlare il castilla.
Ci sono sempre stati negati i nostri diritti a partecipare, a difenderci ed a decidere. Abbiamo sempre dovuto accettare tutti i maltrattamenti. In questi anni abbiamo sofferto nella nostra carne, ma sappiamo bene che non erano colpevoli i nostri padri ed i nostri nonni: sono colpevoli quelli che per molti anni ci hanno derubato della nostra terra e della nostra cultura e che hanno imposto questo modo di pensare.
Ma grazie ai primi ed alle prime che hanno lottato e che hanno dato la loro vita per noi, abbiamo iniziato ad organizzarci nella lotta clandestina ed in una lotta vera.
Noi là, quando abbiamo iniziato a lottare là nella Selva Lacandona, abbiamo dovuto farlo in segreto quando abbiamo incominciato a lottare perché volevano sapere chi eravamo, volevano annientarci o farci sparire come popoli indigeni.
Poi si è decisa la guerra il 1° gennaio del ‘94 e ci furono molti compagni morti e fu versato il loro sangue, ma quel sangue versato non lo dimenticheremo mai, lo teniamo sempre presente, perché abbiamo avuto la terra per lavorare.
Ci sono state molte repressioni militari in vari villaggi zapatisti, noi ci siamo scontrati con loro per non permettere che entrassero nelle comunità ed anche sotto la pressione militare abbiamo organizzato lavori collettivi come fare il pane, allevamenti di pollame e conigli ed orti.
E poi abbiamo subito il tradimento di Zedillo, che insieme al crocchetta Albores Guillén, ci ha mandato migliaia di soldati per reprimere e perseguitare i villaggi. Noi ci siamo rifugiati in diverse zone della nostra regione, siamo stati fuori tre mesi e dopo siamo ritornati a riorganizzare i nostri lavori collettivi e gli spacci collettivi e l’artigianato, la salute e l’educazione.
Così a poco a poco siamo andati avanti facendo riunioni, incontri e realizzando altri lavori: abbiamo imparato ad amministrare i frutti del nostro lavoro ed a appoggiarci tra noi stesse insieme ai nostri compagni, perché è l’unico modo per mandare avanti la nostra resistenza… dal lavoro vengono fuori i fondi per pagare il trasporto delle compagne e dei compagni che vanno alle riunioni ed a frequentare corsi di salute e di educazione ed altri ancora.
Ma ci sono pure molte minacce ed inganni perché il governo ci vuole disorganizzare con i suoi programmi di Progresa ed ora Oportunidades, per le donne: ma noi donne non li abbiamo mai presi in considerazione perché sappiamo che si tratta di puro inganno e proseguiamo col nostro umile lavoro.
Se abbiamo avanzato un po’ con o senza denaro abbiamo sempre cercato di farlo in un modo degno per la nostra resistenza.
Ora lavoriamo a differenti livelli: come consiglieri e consigliere municipali, come promotrici di salute, promotrici di educazione e nelle giunte di buon governo per imparare come il popolo comanda ed il governo ubbidisce.
Lì continuiamo ad imparare a poco a poco… come donne siamo capaci di lavorare per la nostra lotta, grazie a questo spazio per camminare, per conoscerci e per ascoltare le nostre voci, il dolore che sentiamo, perché subiamo lo stesso sfruttamento, lo stesso disprezzo…
Per questo è importante organizzarci, lottare insieme alle nostre compagne e compagni nei diversi livelli di lavoro, del campo e della città, affinché insieme andiamo avanti per costruire una vita degna ed un futuro migliore per i nostri figli.
Ma ammiriamo anche il vostro coraggio ed i vostri sforzi nella lotta. Procediamo insieme.
Coraggio, compagne e compagni, lottiamo insieme con coscienza e coraggio e sappiate che non siete soli.
Grazie compagni.
Parole del Comandante Zebedeo
Buona sera ancora compagne e compagni. Forse mi conoscete già, io sono il comandante Zebedeo, delegato due dell’altra campagna. Veniamo dal caracol quattro di Morelia, dalla nostra zona Tzotz choj’.
Veniamo a parlare con i compagni e le compagne aderenti all’altra campagna, per dire le nostre parole ed ascoltare. Sono contento di essere vicino a voi e di ascoltare a viva voce la situazione che soffrite, come noi soffriamo nel sud.
Insieme stiamo commemorando l’88° anniversario della morte del nostro Generale Emiliano Zapata: una lotta alla quale i mal governi hanno tentato di tagliare la strada, di annientare, per licenziarci, per far finire la nostra vita perché non tornassimo mai più ad unirci, come ora che stiamo intraprendendo l’altra campagna.
Il nostro generale Emiliano Zapata, insieme alla sua bandiera terra e libertà! La terra è di chi la lavora!... con questa bandiera proseguiremo insieme compagni e compagne. Non importa se sei un lavoratore della città, un maestro, un operaio, un cittadino, una casalinga, uno studente. Guardaci: noi indigeni continuiamo a soffrire questo dolore ma vogliamo dirvi che noi indigeni del Chiapas, abbiamo messo a disposizione la nostra vita, o la vita o la morte abbiamo detto il 1° gennaio del ‘94.
Nessuno credeva che saremmo riusciti ad organizzarci per alzarci in armi. C’era un governo terribile, c’era un governo bestia che non ci voleva vedere e noi nella clandestinità ci siamo organizzati: bambini, bambine, uomini, donne, anziani e anziane, pazientemente, per arrivare a quella data così indimenticabile del primo gennaio del ‘94. Abbiamo iniziato veramente in pochi e, se qualche volta avete letto i comunicati del compagno Subcomandante Insurgente Marcos, saprete che incominciarono con sei e poi noi indigeni li moltiplicammo. Uomini e donne ci allenammo per la guerra.
Ma non solamente volevamo morire per morire, ma perché c’era anche una rivendicazione che c’obbligava a farlo e noi eravamo tanto dimenticati che eravamo quasi morti perché non ci ascoltava né il governo, né il candidato a presidente municipale, né il deputato locale, o federale, né il governo federale. Tutti c’ingannavano con nascondere le nostre richieste stese secondo le necessità in ogni villaggio, in ogni comunità... ogni autorità locale diceva sempre: vogliamo terra, vogliamo l’ampliamento dell’ejido, un nuovo centro di ripopolamento, una dotazione per l’ejido, vogliamo acqua, vogliamo drenaggio, vogliamo luce, vogliamo strada, scuola, maestri. Tutte le autorità locali, negli anni ‘70 ed ‘80 sollecitavano, sollecitavano e sollecitavano, ma non ci hanno mai ascoltato.
Fino a che arrivò il 1° gennaio del ‘94: salutammo le nostre famiglie, le nostre mamme, papà, figli, fratelli, sorelle, cugini, cugine e ce ne andammo al nostro posto, dove dovevamo combattere contro il nemico. E lì ci siamo sorpresi perché il nostro nemico è fuggito davanti alla forza degli indigeni organizzati e noi non eravamo con armi di alto calibro, come voi già saprete siamo andati alcuni armati di bastoni, altri di machete, alcuni con armi vecchie, ma anche così riuscimmo a dar eco al grido del gennaio del ‘94, che oggi si ascolta pure nel nord, nel centro, nel sud del nostro paese, così come nel nord, nel sud e nel centro del nostro pianeta terra
Quella parola, quel pensiero e quella coscienza ora sta già nei cuori di distinti colori bruni, neri e bianchi, alti, bassi, magri e magre. Siamo nei vostri cuori ed è per questo che voi siete e noi siamo qua presenti e l’invito è che voi non cessiate di lottare che andiamo avanti insieme.
Da allora, dal 1° gennaio del ‘94, siamo riusciti a riconquistare le terre che erano nelle mani di latifondisti. Ora su quelle terre ci sono già vari nuovi centri abitati a cui abbiamo dato il nome dei nostri morti. Quelle terre le stiamo lavorando, da lì esce l’alimento per la resistenza, lì si producono mais e fagioli, gli alimenti di base degli indigeni.
Siamo già in questa seconda tappa di lotta, intrapresa con l’altra campagna, ma non dimenticatevi di noi e guardate verso il sud, perché da quelle parti ci sono Felipe Calderón e Juan Sabines del governo dello stato di Chiapas, che stanno usando un’organizzazione – OPDDIC-URSI – affinché noi ci scontriamo, affinché noi litighiamo tra indigeni e noi abbiamo detto che non cederemo mai quelle terre, che non le vogliamo più perdere visto che ce le siamo guadagnate col sangue, con la vita.
E poi stiamo anche lottando per i compagni e le compagne prigionieri di Atenco, di Oaxaca, dello Yucatan ed in altri stati che sono stati incarcerati perché lottavano. Abbiamo pure già ascoltato le parole del compagno che ha raccontato come state soffrendo, di come vi hanno spogliati delle vostre terre.
Oggi, quel articolo 27 è a favore dei grandi imprenditori che hanno denaro per comprare le terre: questo è il piano che Felipe Calderón ha per il Chiapas e sta usando la Segreteria della Riforma Agraria per legalizzare le terre recuperate che lavoriamo noi ed una volta che sono nelle mani della Segretaria della Riforma Agraria ovviamente si potranno rivendere.
Allora compagni, compagne, proseguiamo con il nostro piede fermo sulla terra, usiamo la nostra coscienza e resistiamo.
Non è che noi veniamo qui per curiosare o per farci vedere, quello che vogliamo è che ci abbracciamo, insieme e che braccio a braccio, spalla a spalla camminiamo.
Anche se i nostri ragazzi studiano, noi sappiamo che non avranno mai un futuro ed anche se riescono bene, non daranno mai a loro un lavoro. Voi sapete già che molti dei nostri compaesani messicani stanno andando negli Stati Uniti e questo non succede solo qui, ma anche nel nord, in Chiapas, nel sud e nel centro del paese. Allora il problema, compagni, è nazionale. Noi credevamo che gli abitanti del nord vivessero meglio, mangiassero bene, si vestissero bene, avessero delle belle case… noi credevamo che Bush si occupasse bene di loro, perché è qui vicino… Ma invece no, vivete peggio voi in questa zona fratelli contadini, ed altri fratelli stanno ancora peggio. Io penso che là in Chiapas abbiamo acqua sufficiente e terra, ma l’avidità del nemico rimane, però noi col nostro sangue continueremo a difenderle.
Avanti compagni, andiamo avanti.
Molte grazie.
(traduzione del Comitato Chiapas di Torino)
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