Lettera al dottor Guillermo Selvas
Fra pochi giorni sarà un anno che il prigioniero politico è rinchiuso nel penale di Santiaguito
di Hermann Bellinghausen
La Jornada
16 aprile 2007
Fra pochi giorni sarà un anno che sei rinchiuso nella prigione di Santiaguito (inutile diminutivo di Almoloya). Un periodo lungo, per te, di esperienze terribili. Al momento della repressione contro San Salvador Atenco eri un pezzo importante della carovana che nel 2006 percorreva il paese con l’altra campagna degli zapatisti. Dico importante perché, medico di tutti, tu eri il “Doc”. La tua presenza di uomo buono e forte, garantiva che le rappresaglie della natura sulla condizione umana sarebbero state curate, guarite, prevenute in qualsiasi momento.
Vedevi, ascoltavi, partecipavi ai notevoli incontri di quei giorni con messicani che non si arrendono. Con te c’era Mariana, sensibile e forte, giovanissima, tua degna figlia. Crudeltà dei fatti, anche lei è in prigione ed anche se non state insieme, vi vediamo molto uniti dietro le odiosa mura di Santiaguito. Qua fuori vi ammiriamo molto.
La vostra drammatica situazione evoca una tale urgenza che, anche se il tempo passa lentamente, qualunque menzione a voi diventa pubblica denuncia dell’ingiustizia di cui siete oggetto… per riconoscere l’enorme valore umano di tutti voi, rinchiusi perchè aiutavate pacificamente. Il nostro paese si sta riempiendo di prigionieri politici ed anche così, il vostro caso rivestiste un’importanza speciale.
Già solo come medico sei una rarità. Fin dai tuoi anni da studente, all’inizio degli anni ‘70 in una molto politicizzata allora Facoltà di Medicina che si riprendeva prima del resto dell’UNAM, dal trauma del ‘68, avevi le idee chiare su che cosa fare: opporti alle ingiustizie che subiva il popolo. Prendesti con te stesso un impegno che continui a rispettare irreprensibilmente a decenni di distanza. Persone che hanno avuto a che fare con te e che ti hanno amato da sempre ti descrivono come un idealista, una specie di don Chisciotte paradossale perché unisce nello proprio corpo pure la terrena bonomia di Sancho Panza. Il tuo fine non è mai stato l’arricchimento materiale ma invece il servizio: scegli spesso la strada più impraticabile e disinteressata come quella di unirti all’altra campagna. Un punto in più nelle tue continue battaglie contro i giganti.
Ti dico che sei un medico raro. Non hai mai scalato l’amministrazione né ti sei scelto una clientela agiata per guadagnare bene. Hai lavorato sempre nei servizi di salute pubblica che servono i miseri. Quando incominciano, molti futuri medici sbandierano “ideali sociali”, ma laureandosi quasi tutti se ne dimenticano: è più facile. La tua ambizione mira ad altro. Infatti, non si può chiamare ambizione, ma invece: anelito, impegno.
Ti sei guadagnato la condizione di prigioniero politico nel compimento di un dovere che tu stesso, liberamente, ti sei imposto. Fuori, per le strade di Atenco, i poliziotti rompevano le porte ed i crani, vessavano, si disponevano a torturare e violentare. E tu avevi il giovane Alexis Benhumea con una ferita alla testa. Capisti subito quanto stava male. Le ore passavano in quel povero rifugio. Pur sapendo quanto rischiavi, uscisti a cercare medicine, strumenti ed aiuti per fare qualcosa per lui. Ti ha vinto ancora una volta l’idealismo. Ribadisti all’assurdo il tuo dovere ippocratico ed umano. Ti fermarono, ti picchiarono e ti calunniarono miserabilmente. E ti hanno reso esemplare modello del “castigo” e della vendetta, illegale, ma “con tutto il peso della legge”.
Come sai, sei l’ennesima vittima di uno degli uomini più pericolosi del paese, il viceammiraglio Wilfrido Robledo Madrid, allora capo della polizia mexiquense. Il repressore professionista che ha fondato la PFP con Ernesto Zedillo, che ha schiacciato lo sciopero universitario del 1999 e dopo altre malefatte è stato licenziato. Più tardi l’ha risuscitato, scandalosamente, il cucciolo priísta Enrique Peña Nieto, coprendo un poco il capo politico Carlos Salinas de Gortari. Ancora dopo Atenco, e saltando i ruoli definiti, Robledo è stato l’ingegnere della brutalità contro gli oaxaqueñi. Ora è tornato nel congelatore. Salterà fuori da un’altra parte. Lui sì che è ambizioso. Chiaro, ci sono pure altri responsabili: i partiti politici, un governatore, dei giudici, due presidenti della Repubblica, procuratori, commentatori della televisione.
Processi giudiziali che sono imbrogliati, malintenzionati, falsati e senza rispetto dei diritti umani: la tua reclusione è un crimine collettivo per il quale dovranno chiedere perdono tutti loro. Che paese è questo dove i giusti e generosi stanno in prigione ed i banditi diventano ogni giorno più ricchi ed “importanti” senza nessun obbligo morale né fiscale? Sì, sto proprio parlando del paese che vuoi cambiare. Che stai cambiando. Come scrive il meraviglioso poeta cinese Tu Fu al suo amico Li Po: “Se sei incatenato, come è che hai le ali?”.
La tua compagna Rosalba ed i tuoi figli Abraham e Nuri stanno facendo di tutto, dalla scommessa quotidiana nell’accampamento civile di fronte alla prigione alla promozione della battaglia legale con tutto contro. Vedi che famiglia hai? Padre esemplare, fino al limite. Ricevi un fraterno saluto. “Ci parliamo dopo”, come dice il tojolabal. Spero di darti presto l’abbraccio che qui ti scrivo solamente.
(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)
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