<i>"The Name of Our Country is América" - Simon Bolivar</i> The Narco News Bulletin<br><small>Reporting on the War on Drugs and Democracy from Latin America
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Narco News Issue #46

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Invitiamo all’unità dei popoli indigeni per affrontare la guerra di conquista”: dichiarazione di Vicam

L’evento è culminato con tre consensi generali: la liberazione dei prigionieri politici, l’inizio della campagna contro il colonialismo e la realizzazione di un secondo Incontro in Colombia o in Cile


di Juan Trujillo
Speciale per The Narco News Bulletin

29 novembre 2007

In memoria di

Andrés Aubry (1927-2007)

Per un “altro” giornalismo

ed una “altra” scienza dal basso

Vicam, Sonora, Messico, 14 ottobre 2007. L’Incontro dei Popoli Indigeni d’America ha terminato con successo le sue attività nonostante avesse tutto contro. La persecuzione militare che hanno subito le delegazioni, gli autobus degli osservatori, i rappresentanti dei popoli originari, così come l’applicazione del “operativo contro il narcomenudeo” in questa comunità, non hanno impedito, che la “parola autentica” fosse ascoltata fino al finale.


Foto: D.R. 2007 Isabel Sanginés
“Noi invitiamo all’unità dei popoli indigeni per affrontare la guerra di conquista”, è stata una delle più importanti parole d’ordine nella Dichiarazione di Vicam che è stata firmata da tutti i delegato-messaggeri dei 67 popoli rinuniti qui.

E mentre gli ultimi raggi di sole scomparivano ed il pomeriggio finiva, io e don Victor ci scambiavamo parole e punti di vista sul significato e sulla rotta di questa lotta. Lui ha 59 anni ed orgogliosamente dice che gli manca solo un anno per arrivare ai 60. Osserva ed ascolta lo sviluppo degli ultimi passi di questo incontro, fra messaggeri di popoli indigeni d’America mentre il sole comincia a cadere all’orizzonte insieme ad una temperatura che già permette di sentire il leggero vento fresco. Lui è un indigeno yaqui di questa comunità che vive a pochi passi dal luogo dove si svolge l’evento.

Don Victor celebra la presenza del Congresso Nazionale Indigeno (CNI) e della commissione sesta dell’Esercito Zapatista della Liberazione Nazionale (EZLN) all’Incontro: “Io sono d’accordo e vengano tutte le volte che vogliono, noi li riceveremo”.

Col sombrero bianco ed il volto quasi nero, racconta che suo padre era “gringo” e sua madre indigena, per quello ha sangue yori (meticcio) e yaquí. Comunque, il suo impegno è qui, con l’autorità del popolo yaquí, soprattutto quando si organizza la “crocifissione di Cristo, nella settimana di Pasqua”.

I delegati che rappresentano i 67 gruppi e nazioni originari preparano i documenti per dire la loro ultima parola in questo evento e perché siano ascoltate, in tutto il mondo, le proposte, le dichiarazioni e le posizioni raggiunte.

La conversazione con don Victor va avanti fluentemente, anche quando si toccano temi che provocano il ricordo del dolore ancestrale. Alla domanda se ha abbastanza terra per poterci vivere lui con la loro famiglia, Don Victor risponde: “No, noi non abbiamo terra. C’è della gente che ce l’ha. Alcuni mangiano ed altri no”.

E quando io insinuo che questa è proprio la divisione principale e sociale che esiste al mondo, Don Victor risponde positivamente che “da altre parti, non hanno neanche l’acqua per poter seminare, perché ci siano frutti, perché ci sia qualcosa da mangiare. Noi abbiamo qualcosa in casa, poveramente peró ce l’abbiamo. Ma loro non ci lasciano piantare qualsiasi cosa, non possiamo tener capre, né galline perché arriva la salute (il Segretario di Salute dello stato di Sonora) e ti dà una multa e tutto va all’aria”.

Queste parole di Don Víctor costituiscono una piccola denuncia degli abusi della legge che il governo opera in queste terre e che, in fin dei conti, bloccano la vita del contadino.

Nel mentre, osserva l’andare e venire degli ultimi delegati di questo pomeriggio e spiega che guadagna la vita “vendendo cornici nei mercati. Che può farci uno? Quando uno è povero.. è così”, spiega.

Ed alla domanda su che si può fare per risalire dalla povertà ora che noi stiamo ascoltando queste testimonianze di resistenza, don Victor sembra incarnare la coscienza di molti di questa comunità e di altri che vengono da fuori: “Bene, quello che stanno dicendo, tutto, delle terre, della riforma agraria… Ma nessuno ce le darà...”.

Queste sono le semplici parole di un uomo che ha espresso sentimenti che vengono forse dalle realtà di molti dei popoli, rappresentati dai delegati.

La parola indigena in una dichiarazione


Foto: D.R. 2007 Isabel Sanginés

Nel pomeriggio, i membri dei popoli indigeni hanno votato alzando la mano e sono arrivati a tre accordi principali: 1) richiedere la liberazione di tutti i prigionieri politici del continente 2) dichiarare l’inizio della campagna contro il colonialismo e le multinazionali 3) realizzare il Secondo Incontro dei Popoli Indigeni d’America in un qualche luogo della Colombia o del Cile.

La notte è caduta e con lei la luna è ascesa ad illuminare questo deserto. La dichiarazione di Vicam è arrivata con la voce del rappresentante indigeno raramuri. In questo documento, firmato da 67 popoli di 12 paesi d’America, si dichiara che prima di tutto noi popoli “difenderemo e proteggeremo con la nostra vita la madre terra”, visto che abbiamo resistito “fino ad oggi, ad una costante guerra di conquista ed ad uno sterminio capitalista che durano più di 515 anni. Il dolore sofferto per l’attacco degli invasori (...) con il fine di spogliarci dei nostri territori, di distruggere le nostre culture e di far scomparire i nostri popoli, non è finito, ma al contrario, cresce giorno dopo giorno”.

Ma “insieme con il dolore e l’incubo provocati dal capitalismo selvaggio, crescono la resistenza e l’indignazione dei nostri popoli, riflettendosi nel loro grande sforzo di condividere la loro parola e le resistenze”.

D’altra parte loro, si sono pronunciati per il loro “diritto storico alla libera determinazione come popoli, nazioni e tribù originari di questo continente, rispettando le diverse modalità di esercizio di questo diritto secondo i nostri popoli, secondo le loro origini, la loro storia e le loro aspirazioni”.

Il secondo passo di questa dichiarazione si è concentrato sul “rifiuto della guerra di conquista e dello sterminio capitalista imposto dalle società transnazionali e dagli organismi internazionali e finanziari, in complicità con le grandi potenze e gli stati nazionali”.

Si rifiuta di accettare la “distruzione ed il saccheggio della Madre Terra attraverso l’occupazione dei nostri territori per la realizzazione di attività industriali… – e quindi pure – la privatizzazione dell’acqua, della terra, delle foreste, dei mari e delle coste, della diversità biologica”.

Il documento rifiuta anche con forza “l’occupazione e la distruzione dei nostri centri cerimoniali e luoghi sacri, così come la mercantilizzazione della nostra cultura e l’esecuzione del megaprogetto chiamato escalera náutica o Mar de Cortés e la costruzione della strada costiera in territorio Yaqui”.

Uno dei temi più importanti in questo Incontro dei Popoli Indigeni è stato la critica delle nazioni dei territori dal Canada alla distruzione che provocheranno le Olimpiadi del 2010 a Vancouver. La dichiarazione di Vicam si è espressa anche al proposito: “Noi ratifichiamo il nostro rifiuto alla realizzazione delle Olimpiadi d’Inverno dell’anno 2010 in territorio sacro che è stato rubato alle nazionii originarie della nazione tartaruga al fine d’installare piste da sci…”.


Foto: D.R. 2007 Isabel Sanginés
Inoltre si denuncia che “la guerra di conquista e di sterminio capitalista sta peggiorando come non mai lo sfruttamento dei membri dei nostri popoli nelle grandi piantagioni e nelle maquilladoras”. D’altra parte rifiutano “l’insediamento di grandi centri commerciali transnazionali che spogliano delle loro risorse economiche le comunità, così come le politiche neoliberali che hanno indebolito le nostre economie comunitarie”.

E su questo indebolimento dichiarano che “di fronte ai semi transgenici ed all’utilizzo di agrochimici, noi continueremo seminare i nostri semi natii, sviluppando la nostra agricoltura tradizionale e proteggendo la madre terra”. Inoltre, “lavoreremo per la ricostruzione integrale dei nostri popoli e continueremo a rafforzare le nostre culture, le lingue, le tradizioni, le organizzazioni ed il nostri governi”.

Riguardo agli sforzi per il rafforzamento della resistenza, affermano che “sostenuti dalla nostra cultura e visione del mondo, noi rafforzeremo e ricreeremo le nostre proprie istituzioni educative… Così intendiamo pure costruire e rafforzare i nostri media in modo da consolidare le nostre lotte e le alleanze con gli altri popoli fratelli del mondo”.

“Si rifiuta ogni forma di repressione verso i nostri popoli, che si esprima con la militarizzazione e/o la paramilitarizzazione dei nostri territori, nello spostamento forzato o con la deportazione di massa, con l’imposizione di frontiere per dividere e frammentare i nostri popoli e ancora con l’imprigionamento e la scomparsa di coloro che lottano”.

Alla fine, questa dichiarazione di Vicam, firmata da tutti i popoli, le tribù e le nazioni dei partecipanti a questo incontro invita a “l’unità di tutti i popoli indigeni d’America per affrontare la guerra di conquista e lo sterminio capitalista, per consolidare la nostra libera determinazione e per ricostituirci integralmente”.

Esortiamo all’unità della tribù yaqui”: CNI ed EZLN

Una volta calata la notte, era il momento giusto per ascoltare la dichiarazione del Congresso Nazionale Indigeno (CNI) e della Commissione sesta dell’EZLN. Nel documento firmato dalle due organizzazioni e letto da Juan Chávez del CNI, si esprime il riconoscimento alla lunga storia di resistenza della tribù yaqui contro i suoi invasori: “prima il governo spagnolo e coloniale, più tardi i governi nazionali, che hanno sempre favorito i voraci interessi di coloro che detengono il potere economico e politico”. Una menzione speciale è stata fatta per gli attivisti Yaquis Muni, Juan Ignacio Jusacamea e Juan Maldonado Tetabiate, che – secondo i firmatari – “sono nei nostri cuori, come lo è l’eroica resistenza yaqui contro lo sterminio, la deportazione forzata, la schiavitù e le feroci offensive militari”.

Il documento riconosce che “in certa misura, il governo ha realizzato i suoi propositi: ha diviso ed è riuscito ad indebolire gli otto opoli che compongono la tribù yaqui e le loro strutture di governo tradizionale”.

Riguardo a questa situazione, CNI ed EZLN, reiterano la loro solidarietà e le loro richieste storiche: “invitiamo i popoli indigeni del Messico e d’America a rafforzare la loro alleanza con la tribù yaqui per affrontare il capitalismo planetario che oggi ci distrugge tutti”.

In ultimo, c’era il seguente invito: “esortiamo all’unità la tribù yaqui, perché, solamente così – secondo le due organizzazioni – riuscirà ad arrivare al conseguimento delle sue rivendicazioni storiche come tribù”.

Non era mai stata così grande la stupidità dei malgoverni che subiscono i nostri paesi”: Marcos


Foto: D.R. 2007 Isabel Sanginés

La luna era già passata dall’altro lato delle montagne, equo dove era calato il sole e nella stessa direzione in cui la gente sta per andarsene, fra poche ore, da questa comunità di Vicam.

L’ultimo a dire la sua parola era il subcomandante Marcos che ha fatto un lungo e deciso discorso. Ha cominciato a parlare di come è andato questo Incontro: “Il dolore dei nostri popoli è stato ricordato da coloro che lo subiscono da 515 anni, così come il bottino ed il furto delle terre e delle naturali risorse. Ma ora è rivestito dalle vesti nuove della “modernità”, del “progresso”, della “civiltà”, della “globalizzazione”.

Ha ricordato che in questa epoca “lo sfruttamento di centinaia di migliaia di uomini, donne, bambini ed anziani continua riproducendo i tempi ed i metodi delle encomiendas e dei grandi latifondi di paese dell’epoca delle corone dell’Europa, di quando s’imposero a ferro e fuoco”. Arrivando ad oggi, “mai era state così grande la stupidità dei malgoverni che devono subire i nostri paesi”.

Riguardo al cambio climatico di cui si parla così tanto nelle alte sfere politiche, ha criticato severamente: “non c’è mai stata una distruzione così forte e così irrimediabile. Perché ciò che accade è che stanno uccidendo la terra, la natura, il mondo. Senza logica di tempo e di luogo, catastrofi di terremoti, siccità, uragani ed inondazioni, si cominciano a presentare dappertutto per il pianeta. E si dice che sono catastrofi naturali, quando in realtà sono stati provocati dalla sfacciata stupidità da parte delle grandi società multinazionali e dei governi che le servono nei nostri paesi”.

In uno dei punti di maggior intensità ha criticato la cosiddetta “Democrazia Elettorale” che – secondo lui – “è come quelli che inviano alla lotta per far gli affari loro, vendendo la dignità e portando avanti la catastrofe mondiale. Lassù in alto, nei governi, non è più nessuna speranza”.

Intanto è molto famosa nei paesi dell’America Latina – fra i quali c’è il Messico – la forma in cui la società dominante racconta la storia universale del XVI secolo, di quando gli europei arrivarono a queste terre. Riguardo a questo, il subcomandante Marcos ha detto: “loro ci definirono ‘Mondo Nuovo’. Imposero la loro geografia. E celebrano ogni 12 ottobre il “giorno della scoperta dell’America”, quando in realtà questa è la data dell’inizio della guerra più lunga nella storia dell’umanità, una guerra che dura già 515 anni e che ha come obiettivo la conquista dei nostri territori e lo sterminio del nostro sangue”.

Una delle rivendicazioni che è stata espressa nel percorso geografico della maggior parte dei messaggeri di questi popoli, ha preso forma nella voce di questo rappresentante della Commissione sesta dell’EZLN quando ha aggiunto: “E c’è un nome che noi parliamo e ascoltiamo in così tante lingue, tempi e modi. È quello che noi vogliamo come popoli, nazioni e tribù originari: LIBERTÀ. E non ci può essere altro che questo, di fronte al furto, al bottino ed alla distruzione dei nostri territori, della nostra cultura, della nostra gente”.


Foto: D.R. 2007 Isabel Sanginés

E su quella che è forse la lotta più autentica nella storia del mondo ha sottolineato che: “Sono i popoli originari quelli che guardano al loro passato, quelli che conservano e proteggono la loro memoria, quelli che sanno che è possibile un mondo senza Dominatore né dominati, un mondo senza capitale, un mondo migliore. Perché quando noi abbiamo innalzato il nostro passato, la nostra storia, la nostra memoria, come bandiera, non cerchiamo più di tornare indietro. Ma invece di costruire un futuro degno, umano”.

Facendo chiara allusione al movimento dell’altra campagna che nell’ultimo anno e mezzo ha cominciato ad emergere con la Sesta Dichiarazione della Selva Lacanadona, ha aggiunto: “C’è, invece, l’esperienza dei popoli originari, ora pure con l’appoggio e la decisione dei lavoratori della città e del campo, della gioventù, delle persone di una certa età, degli altri amori, dei bambini e delle bambine; di tutte e di tutti quelli che sanno che per il mondo non sarà un’altra opportunità se questa guerra la vincono quelli che satanno in alto”.

La notte arriva in questa comunità yaqui, quando la luna emerge all’orizzonte. In quel momento il tempo che comincerà a camminare il continente americano con l’insubordinazione, secondo Marcos, sarà quello “del calendario che noi scriveremo, in quel luogo della nuova geografia che sveglieremo, la luna cambierà la domanda con cui nasce e sarà di nuovo il sorriso che annuncia l’incontro della luce con l’ombra”. In quel momento, è terminato il discorso ed ha indicato, là dall’altro lato, la luna che sorrideva ai presenti.

Così è finito l’Incontro. Ora manca quello che manca.

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