Oaxaca: fine della tolleranza
Perché questa repressione contro il movimento popolare? Perché ora?
di Luis Hernández Navarro
La Jornada
30 novembre 2006
Oaxaca 2006 come Sonora 1902. All’inizio del secolo XX il governo di Porfirio Díaz affrontò l’ennesima ribellione degli yaquis deportando gli indios arrestati in Yucatan, Jalisco, Tlaxcala e Veracruz. All’inizio del secolo XXI, l’amministrazione di Vicente Fox risponde all’insurrezione oaxaqueña inviando i 141 arrestati nella prigione di San José del Rincón, in Nayarit.
Vicente Fox conclude il suo sessennio con le mani grondanti di sangue. “La tolleranza è finita” a Oaxaca, dice il generale Ardelio Vargas, capo di Stato Maggiore della Polizia Federale Preventiva (PFP), uno degli eroi, insieme all’ammiraglio Wilfrido Robledo, della repressione di Atenco. I suoi cani sono per strada. Lanciano lacrimogeni, picchiano con brutale violenza, fermano senza mandati di cattura, invadono abitazioni senza autorizzazione, distruggono proprietà, occupano ospedali e cliniche, impediscono il libero transito delle persone, offendono sessualmente le donne.
Per le strade i giovani sono fermati indiscriminatamente per il solo crimine di essere giovani. Gli arrestati sono maltrattati, torturati e rinchiusi con i detenuti comuni. Non si permette che i loro difensori e familiari li visitino. E, come nel porfiriato, sono deportati.
Ma gli abusi contro la popolazione civile da parte della PFP non si limitano a quelli compiuti direttamente dai suoi agenti. Essi agiscono a copertura dei sicari al servizio di Ulises Ruiz. I suoi pistoleri e poliziotti in borghese percorrono la città di Oaxaca su veicoli dai quali sparano e sequestrano membri della APPO. Sono i convogli della morte. La maggioranza dei 20 omicidi perpetrati contro attivisti sono di loro responsabilità.
Perché questa repressione contro il movimento popolare di Oaxaca? Perché ora? Che cosa è successo perché si esaurisse la “tolleranza” delle autorità federali?
Essenzialmente per una ragione: a meno di una settimana dall’insediamento a capo dell’Esecutivo, nel pieno di una grave crisi di legittimità, Felipe Calderón ha chiesto a Vicente Fox, visto che non aveva risolto il conflitto, di non lasciarlo in condizioni di debolezza tali, di garantirgli un futuro negoziato in condizioni più favorevoli.
Con detenuti e perseguitati, presume che l’accordo con gli insubordinati sarà più facile e a buon mercato.
Quindi ha chiesto ed ottenuto che fosse l’amministrazione uscente, e non quella entrante, a pagare il prezzo ed il discredito della repressione.
Insomma: che gli si sgombrasse la strada. Quindi, con un’azione di distrazione, è riuscito a scoraggiare la presenza di un contingente oaxaqueño di massa al prossimo appuntamento del primo di dicembre per impedire il suo insediamento.
La presenza massiccia della PFP a Oaxaca dallo scorso 29 di ottobre, non ha impedito che le proteste contro Ulises Ruiz si mantenessero vive nell’entità. Non ha disarticolato l’organizzazione popolare né frenato la rivolta. Al contrario, la APPO ha svolto con successo il suo congresso e riaffermato la sua unità interna.
Tuttavia, nonostante scontri come quello del 2 novembre, il conflitto era relativamente contenuto. Non si era ristabilita l’ingovernabilità né la normalità nella vita quotidiana nello stato, ma esistevano ponti di comunicazione informali tra il governo federale e la direzione della APPO. Era, dunque, un conflitto relativamente gestito. Questo status però era poco conveniente per il governo entrante, che ha deciso di romperlo.
Il movimento popolare ha realizzato qualche azione che ha rotto questo equilibrio? No, proprio no. La manifestazione di sabato scorso è stata assolutamente pacifica. È stata, evidentemente, una dimostrazione di forza, ma si è trattato di un’azione non violenta.
La decisione di attaccare è venuta, come è stato ampiamente dimostrato, dalla PFP. Sono stati elementi di questo corpo a lanciare biglie con le fionde contro i manifestanti e poi lacrimogeni e proiettili. Sono stati loro a cominciare l’aggressione.
I comandi della PFP hanno perso il controllo sulla loro truppa? Molto probabilmente è cominciata così, all’inizio. Ma, più avanti, l’ordine è stato quello di attaccare. E l’hanno fatto con accanimento e con rancore. Sono andati a massacrare i manifestanti, a prendersi la vendetta. La repressione è stata selvaggia: tre morti, più di cento i feriti, 221 fermati.
E con loro, protetti da loro, hanno agito i sicari ed i poliziotti in borghese al servizio di Ulises Ruiz. Hanno sparato e sequestrato cittadini indifesi. Hanno aggredito le persone che alla stazione degli autobus ADO aspettavano il bus. Si sono dedicati a fare quello che hanno continuato a fare durante gli ultimi mesi: seminare terrore.
Simultaneamente, Radio Ciudadana, conosciuta popolarmente come “Radio Patito”, la stazione pirata dei seguaci del governo statale, incitava ad incendiare le case di alcuni noti dirigenti del movimento popolare. Non era uno scherzo. Domenica 26 novembre gli uffici di Flavio Sosa, uno dei più conosciuti portavoce della APPO, sono stati dati alle fiamme. Ovviamente, né la PFP né la polizia statale l’hanno impedito.
“Si sta normalizzando la situazione”, ha detto Ulises Ruiz in un altro dei suoi involontari scherzi. “Non ci sarà perdono”, ha detto. Come candidato a governatore dello stato, Ulises si era presentato come “uomo di unità”. Oggi sappiamo che allora gli mancavano tre lettere: Ruiz è il politico della “impunità”.
La violenta repressione a Oaxaca è la spilla d’oro con la quale Vicente Fox chiude il suo sessennio, ma è anche il biglietto da visita di Felipe Calderón. Senza ammetterlo, hanno decretato nei fatti uno Stato d’assedio. Nello stato, le garanzie individuali sono sparite.
Ma il provvedimento non risolverà niente. Chi l’ha adottato dimentica due piccoli dettagli. In primo luogo, l’enorme capacità di resistenza del popolo oaxaqueño. Secondo, che quello che realmente hanno fatto reprimendo in questo modo, è stato diffondere il rancore, l’indignazione ed il desiderio di vendetta in molti più punti della geografia nazionale. La tolleranza, ben inteso, si è esaurita anche dall’altra parte.
(tradotto dal Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo)
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