Gli indigeni comca'ac denunciano i piani del governo di Sonora per toglier loro le terre
Il subcomandante Marcos si è riunito con quella comunità in Punta Chueca
di Hermann Bellinghausen
La Jornada
23 ottobre 2006
Punta Chueca, Son. 22 ottobre - Il consiglio degli anziani della nazione comca’ac (seri) ha accolto questa notte il subcomandante Marcos nella principale comunità di questo popolo degno ed agguerrito, consegnandogli il bastone del comando. Antonio Robles, presidente del consiglio, ha intonato inoltre “l’inno nazionale” dei comca’ac, canto di guerra pieno di spirito marinaro. A meno di 100 metri, il Golfo della California cullava delicatamente le sue onde da dove nasce la Grande Tartaruga da tempi immemorabili.
“Da tutte le parti abbiamo visto che i governi vogliono vendere agli stranieri le terre, i mari e le montagne che sono protette dai popoli indigeni” – ha detto brevemente il capo zapatista nel centro cerimoniale di questo villaggio. Ha portato il saluto degli uomini, delle donne, dei bambini e degli anziani ed ha detto: “ Veniamo a conoscere non solo il dolore di questa nazione, anche le sue lotte, per unirle a quelle degli altri popoli dell’America in una sola lotta”.
Il capo anziano della comunità ha completato il suo canto con un discorso nella lingua viva dei comca’ac, ed un giovane ha parafrasato il significato del canto che si intona sempre in memoria di quei guerrieri che hanno lottato per difendersi. “ Quando lo Stato dice che queste terre gli appartengono, noi diciamo che il sangue versato su questo suolo dai nostri antenati sta qui e ci appartiene”.
Sullo sfondo si innalza la splendida mole dell’isola Tiburón, simbolo sacro di questo popolo ed oggi potenziale bottino del governatore-industriale Eduardo Bours Castelo e di tutti i suoi complici nel progetto Escalera Náutica, ribattezzato in stile coloniale Progetto Mare di Cortés, e che vuole privatizzare tutte le spiagge di Sonora e delle due Basse Californie.
Gli indigeni hanno denunciato che Eduardo Bours Castelo “ passeggia in elicottero” spesso sull’isola Tiburón, calcolando allegramente tutte quelle terre intatte e la quantità di investimenti turistici che si potrebbero fare lì, una volta consumato l’esproprio programmato dal suo governo e da quello federale.
Don Juan Chávez, purépecha di Michoacán, che ha ricevuto anche lui un bastone del comando, ha parlato a nome del Congresso Nazionale Indigeno (CNI) ed ha dichiarato: “Come voi, abbiamo subito umiliazione ed usurpazione. Ma come voi siamo pronti a difenderci. Uniamo cuori e mani per la nostra madre Terra ”.
Don Alfredo Osuna Valenzuela, autorità spirituale del popolo yoreme-mayo di Sinaloa, ha affermato: “Tutte le leggi, messe al posto sbagliato, hanno prodotto gravi danni”. Questo “ nostro fratello maggiore”, l’ha definito Carlos González, anch’egli del CNI, ha ammesso che per i comca’ac, “l’isola Tiburón è il loro cuore, il mare il loro sangue e la terra il loro corpo ”.
Poi ha preso la parola don Ernesto, un altro anziano seri: “Abbiamo aspettato a lungo il subcomandante Marcos”, e si è rallegrato che finalmente sia arrivato qui. “ Subiamo nel nostro territorio della gente che l’ha invaso. È il posto sacro dei nostri antenati. Si erano stabiliti in quest’area per cacciare, raccogliere frutta e pescare perché è un ambiente naturale. Così noi indigeni vediamo l’utilizzo della natura. Il governo dei federali e dello stato non vogliono rispettare il nostro territorio ” e visto che hanno bisogno di “un potere giuridico”, ha chiesto l’aiuto del subcomandante Marcos per redigere un documento da inoltrare alle autorità.
All’evento hanno partecipato gli abitanti di questa comunità disseminata tra il deserto ed il mare, gente snella, uomini agili e donne esili dalle lunghe gonne e dai volti dipinti con greche di colore rosso, bianco ed azzurro: i colori della nazione comca’ac. Figli del cervo e del vento, fratelli delle acque, da sempre padri della propria libertà.
Né poliziotti, né stampa venduta, né spie
Da quando è arrivata la karavana dell’altra campagna da queste parti, al nord della Baia di Kino, un cartello segnala: “proibito l’ingresso a poliziotti, stampa venduta e spie ”. Così hanno delineato la loro autonomia, negata dalle leggi “messe al posto sbagliato” e sostenuta nei fatti dagli indigeni. In quel punto della strada sono state obbligate a fermarsi e tornare indietro le cinque pattuglie della Polizia Federale Preventiva, quelle della polizia municipale di Baia di Kino, così come lo stuolo di agenti federali e statali che seguono il delegato Zero e la karavana su tutte le strade che percorrono.
Tornando a prendere la parola, il delegato Zero ha riferito della lotta dei popoli zapatisti del Chiapas ed ha annunciato ai comca’ac che i popoli indios del Messico si è unito nel CNI per difendersi tutti insieme, e così lottare per la libertà dei seris detenuti nelle prigioni di Sonora per aver difeso quello che appartiene loro da secoli.
I rappresentanti del CNI ed il subcomandante Marcos hanno citato i casi di esproprio, in corso o prossimi, che minacciano i popoli yoreme (mayo e yaqui) di Sonora e Sinaloa, come i cucapá, kumiai e kiliwa nel nord della Bassa California. Ogni resistenza è unica, ma tutte sono una e la stessa.
Così, mentre il governatore priista-calderonista Eduardo Bours ed i suoi soci stranieri e nazionali si sfregano le mani davanti al tesoro delle terre ed acque del popolo comca’ac, gli indios del Messico si parlano e si organizzano nei loro pensieri e cuori, lì dove nessuna prigione, polizia né legge “ mal posta” può raggiungerli.
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