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Narco News Issue #42

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Oaxaca: otto morti, otto

La sangue scorre da parte dell'Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca (APPO)


di Luis Hernández Navarro
La Jornada

17 ottobre 2006

Otto morti, otto. Quasi tutti da una sola parte. A Oaxaca solo alcuni mettono i loro morti. Il sangue che scorre è dell’Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca (APPO). Ed anche i feriti da pallottola, i rapiti, i torturati, gli arrestati senza mandato di cattura.

Ma quasi niente succede al potere. Il dolore dei colpiti, la rabbia dei compagni, la paura dei vicini, la solidarietà dei compaesani, sono ignorate in alto. I sacrificati sono cadaveri senza nome, incarcerati senza biografia, feriti senza memoria. Non lo dicono, ma il silenzio dei potenti davanti a tanta atrocità suggerisce che pensano che le vittime si siano meritate quanto è successo loro.

Dove sono i responsabili degli assassinii di maestri, architetti, studenti? Dove si trovano i torturatori? Che cosa è successo ai pistoleri che hanno sparato contro la moltitudine? La risposta è semplice: continuano ad essere liberi, continuano a commettere i loro delitti e vivono nella più assoluta impunità.

E l’autorità? Se della polizia non c’è mai stato da fidarsi in Messico, meno ancora nell’Oaxaca di oggi. I poliziotti, vestiti da civili, sono stati incaricati di aggredire gli insubordinati. Non è mai stato tanto vero come ora a Oaxaca quella storiella nella quale un pedone davanti al dilemma se continuare a camminare sul marciapiede sul quale sta venendo avanti una banda di delinquenti o se passare sull’altro pattugliato da gendarmi, sceglie la strada meno rischiosa: quella dove si trovano i delinquenti.

Ma non è un’esagerazione dire che ad Oaxaca solamente alcuni mettono i morti? Per caso il professore René Calva, pugnalato il 5 ottobre, non apparteneva ad una corrente sindacale opposta a quella dei maestri che esigono le dimissioni del (non)governatore Ulises Ruiz?

É così. René Calvo faceva parte di una tendenza corporativa che si opponeva alla dirigenza della sezione 22 del Sindacato Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione (SNTE). Ma, quasi nessuno crede che il suo assassinio sia stato opera dell’APPO. Per principio, perché il movimento democratico non ha mai liquidato nessun oppositore. A differenza della classe politica locale, non è così che risolve le sue discrepanze. Ed inoltre, perché il crimine è stato commesso immediatamente dopo che la Segreteria di Governo aveva offerto al movimento popolare di rimuovere i comandi polizieschi dello stato e di prenderne il controllo diretto, misura respinta sia dal Parlamento locale sia dal mandatario. La feroce campagna di media contro gli oppositori di Ruiz che è seguita alla morte del maestro Calva è un indicatore indiscutibile di chi voleva beneficiare del suo omicidio.

Ci sono due pesi e due misure riguardo alla violenza a Oaxaca. La guerra sporca contro i membri dell’APPO merita solo poche righe nere su gran parte della stampa scritta nazionale, o pochi secondi sui media elettronici. La violenza del governo dello stato contro i cittadini ribelli è presentata come se fossero “scontri“. Viene nascosta così la responsabilità diretta dall’aggressore e si equipara l’aggredito al suo aggressore. Poi poco tempo dopo tutto è stato dimenticato. I defunti svaniscono, sono condannati all’oblio.

Ogni tanto, l’ira popolare esplode. La moltitudine irritata insegue quelli che sparano contro di loro. Li ferma, li picchia, li denuda, li legga e li esibisce nella piazza pubblica. Allora i commentatori radio s’indignano contro la plebe e con la sua ferocia, ed il segretario di Governo dichiara che è inammissibile la violenza popolare e la giustizia privata. Per giorni l’eco delle immagini, delle avvertenze e dei sermoni che condannano quei fatti rimbalza espandendosi dagli schermi e sui giornali.

Il 14 ottobre è stato assassinato Alejandro García Hernández. Come quasi tutti gli altri morti, apparteneva all’APPO. Al grido di Viva Ulises Ruiz! un militare vestito da civile gli ha sparato una pallottola calibro 22 in testa. Il giorno dopo ci sono state le elezioni in Tabasco. Un atto politico chiave nel futuro immediato del paese che ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica. Era ancora fresco il cadavere quando le elezioni hanno nascosto il sangue della vittima. Ma il macabro messaggio di coloro che avevano ordinato il crimine è rimasto inciso nelle barricate: a Oaxaca la morte ha permesso.

Le vedove e gli orfani di attivisti civili sono sempre di più. Coloro che hanno perso il consenso dei loro governati sono disposti a bagnare di sangue lo stato. Se cade Oaxaca – dicono – seguiranno Puebla e Veracruz e chi lo sa?, magari persino lo stesso Felipe Calderón. Con questo ricattano la nazione, o per meglio dire, il potere.

Otto morti, otto. I moderni satrapi sembrano non voler rendersi conto che la risorsa del terrore non è stata efficace per frenare la lotta. Ignorano che ogni morte che provocano è una ragione in più per tenere in vita il movimento.

Nell’immaginario popolare Ulises Ruiz è già caduto. è meglio che i senatori si rendano presto conto di ciò. Di ogni nuovo feretro di cittadini ribelli che dovrà seminare il territorio oaxaqueño saranno, e sono, responsabili pure loro. Come lo è il governo federale.

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