La grande menzogna e le alternative di un Messico democratico
Comprendere e rispettare la decisione zapatista di proseguire la sua marcia -che è la nostra- è un dovere fondamentale, minimo, per la formazione di un blocco storico in Messico
di Pablo González Casanova, Gilberto López y Rivas e Luis Hernández Navarro
La Jornada
17 settembre 2006
È indubbio che il Messico sia stato vittima di un’elezione fraudolenta grazie ad un aperto supporto da parte delle grandi potenze con alla testa gli Stati Uniti. Con la diretta responsabilità di: Vicente Fox, ex-gerente della Coca Cola, del governo di cui è a capo (composto di altri vecchi impiegati di transnazionali), del Partito Azione Nazionale (controllato da coloro che hanno tradito i loro stessi progetti di democratizzazione ed appoggiato dai grandi padroni, dai media e dalla grande stampa in Messico e all’estero), il potere dominante ha imposto come verità la grande menzogna che Felipe Calderón – un altro uomo dagli affari pubblico-privati – ha “ trionfato” (bugia) grazie ad “elezioni trasparenti” (altra bugia), che non sono riconosciute da un leader “populista” (altra bugia ancora), che invece “dovrebbe rispettare le regole della democrazia e che non lo fa per ambizione personale ” (sfilza di bugie), che conta con l’appoggio di “gruppi di agitatori che vogliono imporre la loro volontà su quella della maggioranza”, incoraggiati da una ”sinistra antiquata” che non ha nulla a che fare con ciò che (secondo loro) dovrebbe essere una ”sinistra moderna” e che è alla testa di una plebe che ignora che cos’è la democrazia e la cittadinanza (sfilza di bugie di “secondo livello” con la quale si pretende di “rappresentare” ciò che il predatore sta usurpando).
In realtà, la grande menzogna sui risultati elettorali del 2006 nasconde il progetto di saccheggio del petrolio e delle altre risorse naturali, la privatizzazione dell’energia elettrica e dei servizi di salute e di previdenza sociale, così come un nuovo aumento delle tassazioni che pesano sulla popolazione di scarse risorse e sui poveri del Messico.
La grande menzogna fa parte di un progetto di conquista e colonizzazione del mondo col quale si aggiungono altre muraglie a quella di Gerusalemme, come ad es. quella che sta costruendo il governo degli Stati Uniti lungo più di 3mila chilometri della sua frontiera col Messico. Quella muraglia viene costruita non solo col saccheggio della Repubblica Messicana da parte degli Stati Uniti grazie al Trattato di Libero Commercio dell’America del Nord, è pure una chiara indicazione delle misure complementari con le quale quelle stesse forze pensano ora d’impoverire ancora più il nostro paese per strappargli il resto del capitale nazionale e sociale che genera ancora posti di lavoro.
L’immensa muraglia che gli Stati Uniti innalzano alla frontiera col Messico corrisponde alla decisione di reprimere “come sia possibile” (“cioè necessario”) i milioni e milioni di messicani e messicane senza lavoro che pretendono di uscire dalla trappola di insicurezza, insalubrità, analfabetismo e miseria in cui, sanno molto bene, sprofonderà il Messico, come “effetto collaterale” del grande saccheggio e della repressione che sta già annunciando il presidente eletto dal Tribunale Elettorale del Potere Giudiziario della Federazione in discorsi “istituzionali”, “conciliatori” e “democratici” che, di primo acchito, sembrerebbero a favore di un “saccheggio legale e pacifico”.
La grande menzogna racchiude anche la promessa di dichiarare una “guerra giusta” al popolo del Messico e ad una cittadinanza che ha dato dimostrazione di combattività e di creatività esemplari.
Il Messico, come è già successo prima nella sua storia, sta dando un apporto notevole alla storia universale. Oggi, il paese si trova in un processo di ridefinizione della democrazia elettorale. Difendendo il voto come fa, col clamore di “Suffragio effettivo e non imposizione”, lotta contro la democrazia alienata e per riscattare il potere del popolo e della cittadinanza dalle mafie delle nuove ed antiche oligarchie detentrici di quel potere da tanto tempo.
Il popolo messicano lotta anche, tra varie contraddizioni, per strutturare un suo proprio potere in modo non autoritario, né populista né totalitario, e con un profondo senso democratico, nazionale e di giustizia sociale.
Il voto, in un paese di cittadini la cui immensa maggioranza è costituita da poveri e da molto poveri, oltre che da impoveriti sempre più numerosi, ha un significato di libertà e giustizia.
Il voto, in un paese di poveri non può scegliere – e non ha scelto – un aperto rappresentante delle mafie politico-economiche del grande capitale e delle potenze imperialiste che attaccano oggi come ieri il paese e la cittadinanza del Messico dagli Stati Uniti, dalla Spagna e dalla Francia.
Nelle elezioni del 2006, Andrés Manuel López Obrador, per milioni di messicani, rappresentava una speranza nazionale e sociale di fronte all’aperta ed aggressiva minaccia di Felipe Calderón che, già prima di arrivare ad usurpare la Presidenza, prometteva di dar via tutto ciò che lui ed i suoi non hanno ancora potuto svendere del Messico alle megaimprese imperiali ed ai loro soci e subordinati locali.
Non c’è il minimo dubbio che il voto della cittadinanza sia stato favorevole ad Andrés Manuel López Obrador. Difendere il suo trionfo è stato compito di un popolo povero, di una cittadinanza di poveri supportati da immensi settori della classe media impoverita, tutti animati dai valori della libertà, della giustizia e della sovranità.
Le proteste e le manifestazioni contro la frode stanno ridefinendo il progetto di Nazione per migliaia e milioni di abitanti. Proteste e manifestazioni hanno posto all’ordine del giorno la necessità di mettere in pratica una rivoluzione democratica e pacifica che, partendo da una democrazia autenticamente rappresentativa, si rafforzi con una democrazia partecipativa e con una democrazia di autonomie la cui articolazione permetta di organizzarsi dai governi locali fino a quello nazionale, con la possibilità di ampliamenti regionali ed universali, obiettivi che dal secolo XIX fino ai giorni nostri si sono posti i popoli meticci ed indigeni del Messico e dell’America Latina ed i loro grandi leader, da Hidalgo, a Bolivar, a San Martin.
Il nuovo movimento ha ridefinito la lotta. Nel suo iter, Andrés Manuel López Obrador ha mostrato un’innegabile leadership che gli ha permesso di tener dietro alle richieste del popolo e della cittadinanza. Prenderle in considerazione per incanalare i nuovi passi, richiede un’organizzazione cittadina che abbia una sua autonomia e sappia indicare la direzione.
In mezzo alle contraddizioni che un movimento così ampio ha sempre dentro di sè, l’insieme dell’attuale processo storico rivela, giorno dopo giorno, la crescente presenza del popolo povero e delle forze progressiste e rivoluzionarie del Messico. Dalla resistenza sono molti quelli che sono passati a progetti che rinnovano i grandi episodi della storia nazionale, dalla lotta di Benito Juárez contro gli “imperialisti” e “retrogradi” del suo tempo, passando da quelle dei rivoluzionari che in Aguascalientes invitarono ad una Convenzione Costituente le forze dei più poveri tra i poveri, fino alle lotte di oggi rappresentate dall’Assemblea Popolare del Popolo di Oaxaca (APPO).
La storia si ricrea, ma non si ripete. Nella sua ricreazione, fa sue le lotte del movimento più avanzato dei popoli del Messico, come quella dei popoli indios, con alla testa prima di tutto l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), ma oggi organizzati pure nel Congresso Nazionale Indigeno (CNI). Che gli zapatisti cerchino di conservare l’autonomia del loro movimento merita un gran rispetto. Non li muovono ragioni o sentimenti meschini e coloro che lo credono si sbagliano. Dalle lotte per l’Indipendenza di questo paese, nel l810, tutti i movimenti popolari hanno convocato gli indios solo nel momento delle battaglie e li hanno poi traditi o dimenticati nel momento del trionfo. Gli zapatisti di ieri e di oggi hanno vissuto nella loro stessa vita ed in quella dei loro figli l’amaro sapore del tradimento. Comprendere e rispettare la loro decisione di proseguire la loro marcia – che è la nostra – è un obbligo fondamentale, minimo, nella formazione di un blocco storico in Messico.
Fare che le promesse di oggi si realizzino oggi, all’inizio dei lavori della Convenzione Nazionale Democratica (CND), non consiste solo nel formularle verbalmente o nell’invitare i popoli indios a partecipare. Consiste invece nell’impegno pratico di dar loro un posto di comando in tutte le decisioni nazionali, nel dimostrare loro giorno dopo giorno che non si negozia con loro per comprarli, ma che si assume con loro la necessità di includerli nelle grandi decisioni con tutti i popoli ed i cittadini del Messico. Significa mettere in pratica gli accordi di San Andrés e riconoscere gli sforzi di unità e di rappresentatività del Congresso Nazionale Indigeno. Dobbiamo rispettare noi gli accordi di San Andrés affinché li rispettino gli altri. Precisare che sono un prodotto del consenso e di una consultazione ampia e rappresentativa.
Noi sottoscritti – aderenti all’altra campagna – pensiamo che l’EZLN abbia individuato la necessità di una nuova lotta dal locale fino al globale, iniziando un nuovo movimento per l’autonomia dei popoli indios e per la loro articolazione con i poveri tra i poveri, in un ampio progetto anticapitalista. Ha fatto vedere, con ragione, che lungo più 500 anni di sviluppo, quel modo di dominazione ed accumulazione, mosso dalla logica dell’utilità e dell’arricchimento personale o corporativo, sempre e dappertutto ha sottosviluppato un mondo periferico, emarginato, escluso, supersfruttato ed oggi in gran parte soggetto a politiche di sterminio e saccheggio.
Presentare d’ora in poi la necessità di costruire un sistema alternativo anticapitalista non deve nasconderci però, la meta all’ordine del giorno nelle lotte del popolo messicano e di molti popoli del mondo: costruire con la democrazia delle autonomie e della dignità una vera democrazia dei popoli, con i popoli e per i popoli che abbia come uno degli obiettivi centrali l’inclusione dei lavoratori organizzati e non organizzati, formali ed informali, manuali ed intellettuali nella presa di decisioni, così come il rispetto delle diverse religioni, ideologie, civiltà, identità, per una politica in cui le contraddizioni all’interno del movimento portino sempre di più alla pratica della libertà e della giustizia attraverso il rispetto degli altri e con un programma che includa espressamente i principi non negoziabili.
Saper unirci nella nostra diversità è la nostra grande sfida personale e collettiva. Raggiungere nella convenzione l’unità pur nella diversità sarà il suo primo risultato in vista del trionfo.
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