Un altro Atenco, mai più
Parole di Adolfo Gilly durante la presentazione della relazione del CCIODH sui fatti di Atenco
di Adolfo Gilly
L’Altro Messico
28 giugno 2006
Nota dell’editore: lunedì, 26 giugno, la Commissione Civile Internazionale di Osservazione per i Diritti Umani ha presentato la sua Relazione Preliminare sui fatti di Atenco del 3 e 4 maggio. La relazione è disponibile , in formato PDF, nel sito web della Commissione. In quel evento, il celebre giornalista, storico e sociologo Adolfo Gilly ha presentato la seguente relazione che pubblichiamo con la sua autorizzazione.
–Dan Feder
La Relazione Preliminare sui Fatti di Atenco presentata dalla Commissione Internazionale di Osservazione per i Diritti Umani è un documento eccezionale. Noi, messicani e messicane, dobbiamo ringraziare la Commissione per il suo impegno, la sua obiettività, la sua professionalità ed il suo inestimabile appoggio in questo momento difficile per il paese e per i nostri diritti.
La relazione dimostra il carattere premeditato ed organizzato delle violazioni collettive, dei pestaggi, delle umiliazioni e delle perquisizioni illegali da parte di poliziotti federali e statali. Prova la volontà di intimorire, demoralizzare e lacerare in un villaggio messicano, come monito, vendetta e norma per il futuro. È evidente la responsabilità delle autorità statali e federali e la complicità della giustizia nel mandato e nell’occultamento di quei fatti abominevoli.
Atenco ha oltrepassato i limiti di repressioni anteriori nelle quali c’erano stati morti, torturati, scomparsi, imprigionati, tra coloro che protestavano politicamente o organizzatori sociali. Ma neanche Gustavo Díaz Ordaz aveva dato ordine alle sue truppe di violentare in massa le donne di un villaggio messicano. Sono azioni proprie della barbarie degli eserciti di occupazione in Lídice, in My Lai, in Bosnia, ma commesse in questo caso inaudito contro la stessa comunità nazionale dei violentatori e contro un villaggio contadino intero. Ed hanno oltrepassato qualsiasi limite: non sono state ad opera di paramilitari, ma delle forze in uniforme della stessa nazione alla quale appartengono quelle donne e quegli uomini vuolentati, vilipesi, imprigionati e, due di essi, assassinati.
Atenco è un tentativo di superare qualsiasi limite moralmente tollerabile per le future repressioni. Come dice la relazione, negli atobue della polizia, il cui personale può essere perfettamente identificato dai registri della stessa polizia, “si è prodotto dall’arresto alla consegna delle detenute all’autorità penitenziaria uno spazio d’eccezione dove sono sparite tutte le garanzie e tutti i diritti delle persone arrestate”. Lì si è scatenata la violenza sessuale e fisica contro le donne e pure contro gli uomini. Durante le interminabili sei ore del trasferimento, quegli autobus sono diventati una replica nazionale della prigione di di Abu Graib, ma dove poliziotti messicani violentavano in massa donne messicane.
Giudici, periti, autorità carcerarie si sono unite in un’azione serrata di negazione della giustizia per i torturati, i prigionieri, i feriti, i derubati dei loro beni nelle loro stesse case. Le prigioniere ed i prigionieri non sono ascoltati, i fatti provati sono negati con cinismo. L’estremo degrado a cui è arrivata l’amministrazione di giustizia in questo paese spunta con un’evidenza tragica dalle pagine della relazione: processi senza accusatori né prove, detenuti senza diritti, giudici e pubblici ministeri senza coscienza.
La relazione mostra come Atenco è stato un tentativo progettato ed organizzato di infondere paura nelle messicane e nei messicani, e soprattutto una paura concentrata su coloro che sono meno protetti nei loro diritti cittadini e nel loro livello di vita. “Nella repressione, prima i poveri”, sembra essere stato lo slogan. Nel paese di Atenco è rimasta paura, la legittima paura – come constata la relazione – ed un’immensa, insondabile rabbia, come quella che germoglia oggi ad Oaxaca, in Pasta de Conchos, in Sicartsa, in La Parota, in tutta la geografia nazionale.
Relazioni come questa ci aiutano a ragionare su quella paura, a pensare con chiarezza quella rabbia, a comprendere meglio ciò che sta succedendo e ciò che sta succedendosi. Questa è una condizione necessaria per organizzare una difesa, la più ampia possibile, senza distinzioni né settarismi, unendo tutti quanti, da qualsiasi posizione, a liberare subito i prigionieri di Atenco ed a proteggere i diritti, le libertà ed i beni dai suoi abitanti.
Intorno ad Atenco è necessario riunire, senza distinzioni, le volontà e le forze per fermare la valanga di abusi e di umiliazioni contro le messicane ed i messicani che gli attuali poteri nazionali stanno esercitando o tollerando o tacendo, perché possano ereditarli come una realtà di fatto i governanti che verranno.
Il piccolo paese di San Salvador Atenco è uno delle nostre tragedie nazionali di questi tempi. Cinque candidati, tra i quali una donna, chiedono al popolo del Messico il voto per essere scelti come presidente il prossimo 2 luglio. Quattro di essi, nel gran dibattito nazionale, non hanno detto una parola su Atenco: silenzio, silenzio totale sulla tragedia. Uno, quello del PAN, ha toccato il tema solo per dare una chiara approvazione a questo obbrobrio.
La Commissione Civile Internazionale di Osservazione ha fatto arrivare questa commovente relazione a quei cinque candidati. Chiedo ad ognuno di essi che dica la sua parola su Atenco nella imminenza della chiusura della campagna elettorale. Chiedo che si uniscano al clamore nazionale ed internazionale che non ha smesso di crescere in difesa di Atenco e per la libertà immediata dei suoi prigionieri.
Non sto chiedendo troppo: appena lealtà, solidarietà e decenza umana verso un piccolo villaggio contadino messicano e niente più, alla periferia della Città dei Palazzi, dalla quale ognuno di loro aspira a governare, nei prossimi anni, questo nostro tragico Messico di oggi.
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