<i>"The Name of Our Country is América" - Simon Bolivar</i> The Narco News Bulletin<br><small>Reporting on the War on Drugs and Democracy from Latin America
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Narco News Issue #40

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Parole del subcomandate Marcos, Commissione Sesta, alla amnifestazione del 12 maggio 2006

13 maggio 2006

Compagni e compagne dell’altra campagna:

Oggi, come in altre occasioni, ci unisce il dolore.

Il dolore di vedere le nostre compagne, i nostri compagni del Fronte dei Popoli in Difesa della Terra e di altre organizzazioni, gruppi, collettivi, famiglie e persone attaccati dai poliziotti dei malgoverni in San Salvador Atenco.

I malgoverni del municipio di Texcoco, di filiazione perredista; dello stato del Messico, di estrazione priista, ed il governo federale guidato dal panista Vicente Fox Quesada.

Non è stato, come dicono là in alto, un operativo per riportare l’ordine.

E’ stato un attacco per distruggere ed annichilire, perpetrato con l’impunità di chi si sa protetto dalla legge dell’alto, la legge del potente. La legge che giustifica l’assassinio di un giovane, l’impiego di armi contro la popolazione civile indifesa, la distruzione di umili abitazioni, i selvaggi pestaggi su qualsiasi cosa si muovesse, l’aggressione sessuale contro donne e ragazzi, le detenzioni arbitrarie ed indiscriminate. Insomma, il fascismo.

Tutto questo con l’alibi, durato solo poche ore sugli organi di informazione, dello stato di diritto, dell’imposizione della legge.

Lo stesso stato di diritto che ha trasformato la giustizia in merce costosa, il cui prezzo può essere pagato solo da chi ha i soldi. Così abbiamo visto Marta Sahagún, del PAN e moglie di Vicente Fox, comprare i giudici per coprire l’arricchimento illecito della sua famiglia. E se qualcuno osa denunciarlo pubblicamente, la giustizia viene comprata di nuovo per zittire e punire chi ha detto la verità.

Lo stesso stato di diritto che favorisce e copre i legislatori che, come Diego Fernández de Cevallos, del Partito di Azione Nazionale, approfittano della loro posizione politica per favorire il crimine organizzato. Lo stesso stato di diritto che non solo permette, ma anche promuove l’uso delle risorse della nazione perché il PAN possa investire nell’affare dei posti pubblici e dell’inflazione di sondaggi, come fanno con quel nano mentale con aspirazioni da dittatore che è Felipe Calderón.

Lo stesso stato di diritto che conferisce prerogative legali al braccio politico del crimine organizzato, il Partito Rivoluzionario Istituzionale, e a quel gangster venuto meno che è Roberto Madrazo.

Lo stesso stato di diritto che occulta la corruzione istituzionalizzata chiamata Partito della Rivoluzione Democratica, e che alimenta e nutre, con gli stessi imbroglioni di sempre, la campagna di Andrés Manuel López Obrador.

Compagni e compagne:

Là in alto, da qualche parte, stanno cercando di imbastire la teoria della congiura, della cospirazione, del complotto ideato per rovinargli l’affare in cui hanno trasformato le elezioni.

Ma qui in basso sappiamo quello che è successo: la macchina repressiva dello Stato messa in moto non importa dove, quando, chi né come.

Qui in basso vogliono convincerci che è possibile solo la politica dell’alto, con loro, sotto le loro regole e tempi.

“Prove”, chiedono quelli in alto quando si denunciano le violazioni dei diritti umani perpetrate applicando la “loro legge”. “Prove” ripetono gli eco ammaestrati.

Come se quelli in alto si fossero presi il disturbo di raccogliere “prove” per fare quello che hanno fatto.

Ed i partiti politici ed i loro candidati? Per caso gli importa di quello che succede qua in basso?

No.

Compagni e compagne:

Tutto questo lo sappiamo, e per questo ci unisce oggi qui ancora l’indignazione e la rabbia.

L’indignazione e la rabbia che suscita sapere che, per quelli in alto, le donne sono il bottino di guerra promesso in anticipo alle truppe dell’ “ordine.”

L’aggressione subita e che subiscono le nostre compagne per il fatto di essere donne.

Volere non solo picchiarle ed arrestarle, anche umiliarle e distruggerle moralmente.

Ed il messaggio non è solo per loro come donne che lottano per un paese migliore, per un altro Messico.

È per tutte le donne del Messico.

Per il sistema economico e politico tutte sono il bottino con cui pagare chi impone con la forza quello che non si può sostenere con la ragione.

Sottomettersi di buon grado al disprezzo, al maltrattamento, all’aggressione sessuale, alla violenza; o essere obbligate a quella sottomissione con l’uso legale della violenza. Questa è l’alternativa che, per tutte le donne del basso, umili e semplici, offre il sistema, indipendentemente dal simbolo politico mostrato in alto.

Chi può essere orgoglioso di applaudire a questo come simbolo della modernità democratica del nostro paese?

Chi può essere onesto e rimanere in silenzio davanti a questa crudeltà?

Chi, come donna, come essere umano, in Messico o in qualunque parte del mondo, può sapere cosa è stato essere donna a San Salvador Atenco, nello stato del Messico, il 3 e 4 maggio del 2006, e starne lontano, non fare niente, e continuare a portare la propria umiliazione, mascherando di destino e sfortuna quello che hanno trasformato in maledizione?

Chi, a conoscenza di tutto questo, può prendere il microfono, la macchina fotografica, il computer, il palco, il tavolo, il mezzo di trasporto, la matita, lo strumento di lavoro in campagna o in città, il libro, il quaderno di appunti, il giocattolo, accendere la radio o la televisione, leggere il giornale o una rivista, e non vedere e non sentire, o peggio, vedere e sentire e pensare che forse se lo meritavano? Chi le obbliga ad essere studenti, lavoratrici, indigene, chi le obbliga ad essere povere, chi le obbliga a non essere deputate, senatrici, governanti, funzionarie, industriali; infine, chi le obbliga ad essere donne?”.

Quale donna in Messico, indipendentemente dalle sue idee, può onestamente restare in silenzio?

Quale giovane, anziano, bambino, uomo o donna, sapendo quello che ha significato essere uno o l’altra in Atenco il 3 e 4 maggio, può rimanere immobile?

Chi può ascoltare la storia delle sofferenze di quei compagni e compagne, e non sentire la stessa rabbia e la stessa indignazione?

Chi può ascoltare la decisione di continuare a lottare che continua nel loro cuore, e non sentire la stessa ribellione?

Non noi, non l’altra campagna, non i compagni e le compagne che hanno sofferto l’essere del basso e di sinistra nella lunga giornata di terrore scatenata dall’alto i giorni 3 e 4 maggio a San Salvador Atenco.

Né indifferenti, né zitti, né immobili.

Noi, l’altra, non lasceremo le nostre compagne e compagni soli. Né in prigione, né nel loro dolore, né nella loro rabbia, né nella loro lotta.

Non importa né il tempo che ci vorrà né la congiuntura che dall’alto decideranno e imporranno.

Non importa se siamo molti o pochi.

Non importa se ci attaccano o ci adulano.

Non importa se ci capiscono ed appoggiano, o se ci si condannano e perseguono.

Compiremo il dovere principale che abbiamo accettato come parte dell’altra: essere con gli altri e le altre, aiutarci, non lasciarci soli.

Continueremo a gridare e continueremo a mobilitarci, tutti, tutte, in tutto il paese.

Se pensano di fermarci o scoraggiarci con la repressione, che prendano l’esempio dei nostri compagni e compagne arrestati il 3 e 4 maggio.

Se è la repressione, con l’appoggio dei partiti o mediatico che si voglia, con la quale decideranno di rispondere alla nostra domanda di giustizia, allora che facciano posto nelle prigioni, negli ospedali e nei cimiteri, perché questo non si fermerà fino a che tutti i prigionieri e prigioniere del 3 e 4 maggio saranno liberi.

A quelli in alto non importa di noi.

Non gli importa l’orrore che provoca il sapere quello che hanno fatto ai nostri compagni e compagne e a persone che neanche sapevano di cosa si trattava.

Calcolano che le botte e le minacce, il tempo, le bugie ed il silenzio finiranno per relegarci in un angolo dimenticato.

Si sbagliano.

Continueremo con le nostre proteste e mobilitazioni, in tutto il Messico e nel mondo.

Sapranno che qua in basso non perdoniamo né dimentichiamo.

E non sarà la nostra una rabbia come quella di prima, come quella di sempre.

No.

Ora è e sarà un’indignazione organizzata, un’altra rabbia.

Abbiamo appena cominciato, non ci fermeremo.

Che facciano uscire tutti i prigionieri, tutte le prigioniere, o che ci sbattano tutti quanti in prigione.

Dall’Altra Città del Messico.

Subcomandante insurgente Marcos

Messico, Maggio 2006

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