“Ci hanno fatto di tutto, ma eravamo incappucciate”
Cittadine spagnole raccontano le vessazioni per mano dei poliziotti
di Armando G. Tejeda
La Jornada
9 maggio 2006
Madrid, 7 maggio – María Sastres e Cristina Valls sono due cittadine spagnole che mercoledì si trovava in San Salvador Atenco, dove il conflitto con gli abitanti della località è sboccato in una brutale repressione dalle forze pubbliche federali e statali. Oltre alla tragica morte dell’adolescente Francisco Javier Cortés, l’escalation poliziesca è stata macchiata da presunte violazioni dei diritti umani e delle garanzie giuridiche, come raccontano nella loro drammatica testimonianza.
Sastres e Valls hanno denunciato di essere stato vittime di vessazioni, insulti e minacce da parte dei poliziotti durante la loro reclusione, oltre a non essere state informate in nessun momento della loro situazione processuale né delle ragioni della loro deportazione visto che si trovavano legalmente sul territorio messicano, col visto da turista in vigore.
Dopo il lungo viaggio che le ha portate da Città del Messico a Parigi e finalmente a Barcellona, dove risiedono, le due cittadine spagnole hanno confessato di sentirsi “oltraggiate” e “molto colpite” da quanto è successo mercoledì in San Salvador Atenco.
Le testimonianze di Sastres e Valls cominciano all’alba di mercoledì, quando si trovavano in Atenco: “Noi siamo arrivate in Messico per fare un lavoro con le comunità indigene in Chiapas e dopo abbiamo aderito all’altra campagna, facendo un lavoro di osservatrici dei diritti umani e di fotografia. Quando abbiamo saputo quello che stava succedendo in Atenco, ci siamo recate là. Siamo arrivate di notte ed abbiamo visto che c’erano già le barricate nei punti di entrata e di uscita del paese. Circa alle sei di mattina è arrivata la polizia”.
Secondo Sastres e Valls, quando c’è stato l’avviso che erano arrivata la polizia a reprimere la popolazione è iniziato a regnare il caos e la paura nel paese: “I poliziotti erano circa 3 mila e noi quando molto 300. Ci hanno tirato di tutto: gas lacrimogeni, sparavano pallottole e di tutto. Noi correvamo per il paese cercando di fuggire dalla polizia, ma non c’era nessuna strada libera da agenti. Alla fine una signora ci ha aperto la porta di casa e ci siamo rifugiati in circa otto in una stanza”.
Le due cittadine spagnole sono rimaste chiuse in quella casa per due ore, mentre ascoltavano i rumori dell’escalation poliziesca che proveniva dalle strade vicine. Poi sono state fermate nel seguente modo: “sentiamo che la polizia incomincia a picchiare sulle porte delle case per cercare un poliziotto presuntamente sequestrato. Così è stato che alla fine ci hanno trovato e ci hanno afferrato, ci hanno messo tutti con la pancia a terra, ci hanno coperto il viso con cappucci e ci hanno legate le mani nello stesso cortile della casa. Ci hanno chiesto i nostri nomi, ci hanno video-registrato e sono cominciati i primi insulti e colpi”.
Le vessazioni più flagranti contro la loro integrità – segnalano – ci sono state quando le hanno fatte salire su di un camion con varie decine di persone. Così raccontano: “ci hanno messo in un camion, dove hanno incominciato a picchiarci senza smettere coi manganelli e a calci. Inoltre ci insultavano: dato che noi siamo spagnole ci chiamavano militanti dell’Eta, prostitute ed altro anora. Poi ci hanno spostato su di un camion più grande, dove hanno fatto una lista di tutti – credo che fossimo in 38 – ed hanno cominciato ad aggredire sessualmente le donne”.
Sulle vessazioni sessuali che hanno sofferto, María Sastres racconta: “ci hanno fatto di tutto, ma dato che eravamo incappucciate non vedevamo chi era, quando riuscivamo a intravvedere qualcosa era il pavimento pieno di sangue e sentivamo le grida di dolore della gente. Non voglio entrare in molti dettagli sulle aggressioni sessuali, ma ci hanno tolto i vestiti, ce li hanno strappati, ci passavano le mani addosso molti poliziotti e preferisco non dire più niente. Tutto questo è successo sul camion col quale ci trasportarono da Atenco a Toluca, dove se cercavamo di parlare con qualche compagno ci picchiavano, tornavano ad insultarci e se la ridevano di noi”.
Arrivando a Toluca, le quasi 40 persone che viaggiavano sul camion sono state fatte entrare nella prigione di Santiaguito, dove – sempre secondo queste testimonianze – hanno separato gli stranieri dai messicani e sono stati divisi anche per sesso. “Dopo cinque minuti che eravamo entrate in prigione ci hanno tolto il cappuccio e le manette, inoltre, dato che mi avevano fatto sanguinare il naso, mi hanno ripulito subito, ma sono arrivata con tutti i pantaloni rotti, senza reggiseno, con la maglietta rotta e con colpi per tutto il corpo”, racconta María Sastres.
Dopo essere rimasti per varie ore nella prigione dello stato di Messico, i cittadini stranieri sono stati trasferiti all’ufficio di Migrazione di Iztapalapa, dove li hanno rinchiusi in una stanza per varie ore senza ricevere nessun tipo di informazione sulla loro situazione. “Tanto alla gente della prigione come a quella di Migrazione raccontiamo loro quello che ci avevano fatto i poliziotti e le vessazioni che avevamo sofferto, ma loro dicevano che quello non era un problema loro, anche se hanno cercato di essere più gentili. Però ci hanno mentito sempre e ci hanno minacciato con condanne di anche un anno di prigione.
Non ci dicevano niente, arrivavano solo uno dopo l’altro degli avvocati che ci dicevano sempre lo stesso che avremmo passato un bel periodo in prigione. Per questo abbiamo anche pensato che avrebbero inventato qualcosa contro di noi e che forse non saremmo riusciti ad uscire dalla carcere”.
Nell’ufficio di Migrazione le cittadine spagnole hanno poi ricevuto la visita del console spagnolo in Messico che hanno informato pure delle presunte vessazioni e violazioni ai diritti umani sofferte, a cui lui ha risposto che “si sarebbe investigato”, ma non ha offerto loro nessuna assistenza giuridica, limitandosi ad informare i loro parenti in Spagna, visto che fino a quel momento non avevano potuto fare nessuna telefonata.
“C’è un momento, come alle cinque del pomeriggio, nel quale ci hanno portato via dalla stanza e fatto salire su un’auto. Noi domandiamo dove si va e ci hanno detto ad un ufficio di Polanco, ma l’auto è partita e ci ha portato rapidamente all’aeroporto. Noi spieghiamo che i poliziotti dell’operativo in Atenco ci avevano rubato tutto, ma loro si mettono a ridere di noi”.
Senza la mediazione di nessun tipo di assistenza giuridica, Sastres e Valls sono state recluse in una specie di cella dell’aeroporto per varie ore, dove le avrebbero filmate e minacciate di nuovo. Finalmente sono state fatte salire su un aereo diretto a Parigi: “alle 11 della notte è partito il volo, ma ci accompagnavano sempre due poliziotti fino a che siamo arrivate a Barcellona”.
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