Sono state fatte pressioni sui governatori tradizionali perché non incontrassero Marcos
Il delegato Zero si è incontrato con rappresentanti dei popoli huicholes di Jalisco
di Hermann Bellinghausen
La Jornada
19 marzo 2006
Tutu Mayawi, Jal. 18 marzo. “Ringraziamo la Terra; ci sostiene. Per questo siamo in lotta. La madre non si vende. Che non venga in mente a nessuno dei fratelli wixáritari di venderne un solo pezzo. È la lotta al governo e all’invasore. Da quanto ricordiamo dall’alto della nostra età, ci sono sempre stati problemi di invasioni. Prima lottavamo ognuno per conto suo. Non si poteva fare altro. Poi ci siamo uniti con i fratelli della regione”, dice don Maurilio della Cruz Avila, che rappresenta il consiglio degli anziani di San Sebastián.
In uno spiazzo del bosco che è diventato luogo di riunioni dei popoli wixáritari (huicholes) del nord di Jalisco, i governatori tradizionali di San Sebastián Teponahuxtlán, Martín Mijares, e di Tuxpan di Bolaños, Héctor Carrillo Medina, affiancano il subcomandante Marcos nella cerimonia di accoglienza dell’altra campagna in questi territori. I tre occupano sentieri uweni, seggi d’onore, riservati alle autorità, ad ospiti particolari e marakame (autorità spirituali).
C’è la bandiera del Messico e per dare inizio alla riunione sono stati intonati l’Inno Nazionale in castigliano e in wixárika e l’inno zapatista, e José Carrillo, autorità che dirige l’evento, ha ricordato che oggi si commemora l’esproprio petrolifero del 1938, data che significa ancora molto per questo popolo. E’ un riferimento della loro lotta.
Cadono a pioggia le foglie secche. E’ stagione secca dopo un anno di scarse piogge e la morte. Nel 2005, di tre importanti marakames (autorità spirituali) in un mese.
Presiedono la riunione anche Filomeno Carrillo de la Cruz, Magdaleno López Ibarra (autorità agrarie) ed il professor Raureme, incaricato di tradurre nella sua lingua gli interventi (che saranno molti) del delegato Zero, perché qui lo hanno messo al lavoro e gli hanno chiesto di spiegare la lotta zapatista e poi le leggi neoliberiste. Gli fanno svolgere un lavoro, come lo fanno loro stessi.
Arrivano anche rappresentanti delle comunità di Santa Catarina e Bancos de San Hipólito (quest’ultimo di Durango). Assistono decine di indigeni che rappresentano a loro volta migliaia di indigeni di tutti i popoli wixáritari a sud del Nayar.
Don Maurilio prosegue il suo importante discorso, pronunciato con eleganza e semplicità. “Alcuni delle nostre proposte sono state soddisfatte dal governo, come un ‘Mejoral’ che ci danno per calmare il dolore. Non abbiamo altro che le risorse naturali: boschi, pascoli, acqua, alcuni luoghi sacri. È quello che stiamo preservando”.
Basta avvicinarsi a questa comunità per vedere come i boschi sono molto meglio conservati di quelli del municipio meticcio di Bolaños, invasore storico delle terre huichole, nonostante gli indigeni siano in possesso di decreti presidenziali, atti di proprietà e confini.
“Benché siamo proprietari, abbiamo problemi con gli invasori. Qui nella sierra la conquista non è finita. La ricchezza che avevamo non è più molta, ma continueremo a lottare”, aggiunge don Maurilio.
“Qui, noi risolviamo i problemi interni, agrari, di cultura. I municipi (ufficiali) non li risolvono come vorremmo, rispettano poco le nostre autorità, ma ogni anno quando cambiamo la nostra autorità i municipi devono avallare che sono rappresentanti del popolo”.
L’assemblea è la massima autorità dei quattro popoli wixáritari presenti ed aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona. “Ci sentiamo parte di essa”, dirà più tardi un giovane rappresentante di San Sebastián.
Don Maurilio descrive: “Ogni anno facciamo pellegrinaggio alle nostre radici, dove portiamo offerte e le consegniamo agli dei che risiedono in questo pianeta. Sono loro a far piovere. Sono loro che ci sostengono”. Racconta che questi popoli hanno 24 centri cerimoniali dove rimangono gli jicareros a vegliare sulla natura.
Prende la parola José Carrillo e parla della centralità del mais in questa vita. “Lo stiamo conservandolo su raccomandazione ancestrale”. Oggi stesso sta andando a Curitaba, Brasile, un rappresentante wixárika per partecipare ad un congresso contro i semi Terminator.
Le tortillas offerte ai visitatori, fatte con i diversi grani di questa terra, hanno un sapore straordinario. L’opposto di quello dell’anonimo mondo della “Maseca” industriale. Come spiega José Carrillo, qui coltivano mais azzurro, giallo, nero, bianco, colorato e macchiato. “Il mais parla, solo noi lo capiamo”. (Si riferisce al fatto, secondo la saggezza locale, che i marakame “traducono” il mais, perché i grani sono parte delle famiglie, sono i loro antenati).
La riunione trascorre in rigoroso bilinguismo, che gli dà un ritmo più tranquillo e rurale. È, probabilmente, la riunione più lunga e meno stanca dell’altra campagna. Marcos espone che la legge fondamentale del capitalismo “è che tutto si trasformi in merce”, e fa un riassunto dei luoghi che l’altra campagna ha visitato, trovando la conferma che i ricchi vogliono possedere le donne e gli uomini, la terra, l’acqua, l’aria, la storia e la dignità.
Il delegato Zero osserva: “Per qualche motivo aspettiamo che loro vengono da noi. Andiamo noi da loro”, in parole che riassumono l’intenzione dell’altra campagna, il raccogliere le volontà di cercare di unire lotte ed esperienze di tutto il paese. In poche parti si trovano esperienze di autogestione e lotta così avanti come qui nella huichola e nei municipi autonomi del Chiapas. Qui, come là, i governi funzionano senza ricevere compenso, ubbidiscono ai loro popoli e svolgono solo un servizio.
Per i wixáritari questo è un evento importante ma è anche semplicemente “un giorno di lavoro”, come dice José Carrillo prima di dare la parola a don Jesús Lara, membro del commissariato di San Sebastián e conoscitore delle leggi neoliberiste che minacciano i popoli. Don Jesùs spiega che dal 1993 inMessico sono state riformate 20 leggi, tutte contro i diritti delle comunità.
“La cosa buona è che stiamo ancora esistendo”, dice allegramente. “In realtà stanno succedendo cose molte brutte. Il governo ci ha dichiarato una guerra di bassa intensità”, ammette, ed allerta sulle pressioni che hanno ricevute le autorità a causa dei progetti Procede e Procecom.
In breve, Raureme ed altri commentano che la Commissione Nazionale per lo Sviluppo dei Popoli Indios ha fatto pressione sui governatori tradizionali affinché non si riunissero con Marcos. E non solo hanno disatteso questa richiesta, ma una settimana fa hanno respinto la visita del presidente Vicente Fox. Come si ricorderà, fu moltissima la pubblicità del governo su questa visita a San Andrés Cohamiata, l’unica comunità wixárika che permise l’ingresso del mandatario. Le altre, chiarisce questo pomeriggio Magdaleno López, “non l’abbiamo voluto qui perché non lo merita, non compie ciò che dice”.
Dal suo arrivo ieri sera, i popoli wixárikas hanno detto chiaro la loro volontà sovrana. Un grande fuoco a terra ed uno striscione con la scritta “Territorio wixárika recuperato” ha accolto il subcomandante Marcos in questa comunità chiamata anche Bajío del Tule. Adornava la coperta un jícuri dipinto, con un pezzo di radice. Imbruniva. Già decine di rappresentanti delle comunità di San Sebastián erano in attesa ma dovevano ancora arrivare quelli di altri territori wixáritari che lo avrebbero fatto nel corso della notte e della mattinata di oggi.
Il governatore di San Sebastián Teponahuxtlán, Martín Mijares, alla luce di due pilei e bevendo cannella, ha ricevuto Marcos: “Che questo incontro continui a significare più di quello che è sempre stato. A tutti noi spetta realizzare questa attività per continuare ad imparare”, e sembra rivolgersi tanto ai suoi fratelli quanto allo stesso subcomandante.
“Tutti i popoli siamo una comunità”, ha affermato anche don Martin, un uomo giovane dal portamento distinto. Da buon wixárika, con i piedi ben piantati a terra.
Bajío del Tule è una delle porzioni di terra che erano state invase illegalmente dagli allevatori di Bolaños, La Yesca ed altri municipi ufficiali. Dopo lotte e cause legali portate vanti con tenacia, gli huicholes hanno recuperato buona parte delle loro terre già dichiarate loro dal 1718. Quelle di San Andrés Cohamiata risalgono al 1725 e quelle di Santa Catarina al 1850.
Tutù Mayawi, come lo chiamano gli indigeni, fu restituito nel 2000. Ma, come avrebbe detto nella riunione di questo pomeriggio José Carrillo, facendo eco ad una domanda di Magdaleno López (“Fino a quando continueremo a lottare?”), è una strada lunga quella che devono percorre i wixárika. “Se altri si uniscono, la faremo insieme. Se no, continueremo noi in ogni modo”.
Durante la riunione, per tutto il giorno, sono costanti il riconoscimento e l’identificazione con la lotta delle comunità zapatiste e conferiscono a Marcos il trattamento di fratello indigeno. Da uguale. Rispettosamente.
Un rappresentante di Bancos de San Hipólito ha raccontato nel pomeriggio la storia della sua vittoria. Loro hanno recuperato le loro terre alcuni mesi fa, come qui a San Sebastián. I wixárikas va avanti. Come gli zapatisti, recuperano e costruiscono. Sulle loro spalle, come diceva un marakamealcuni anni fa, entrambi i popoli “reggono il mondo”. In senso figurato e, vedendo per esempio questi boschi vivi in mezzo alle disboscate terre del Sierra Madre Occidentale in Jalisco, anche in senso letterale sono i “guardiani”, come hanno detto gli zapatisti in più di un’occasione.
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