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Narco News Issue #39

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L'irrompere dell'onda


di Luis Hernández Navarro
La Jornada

14 febbraio 2006

Una forte ondata minaccia di schiantarsi contro l’impalcatura politica istituzionale in Messico. Viene da molto lontano e si rafforza con i venti della tormenta che scuotono il paese. Per la maggior parte del suo cammino, la superficie dell’oceano politico su cui passa sembra non presentare nessuna alterazione. Tuttavia, quando si solleverà e irromperà, scuoterà il sistema rappresentativo esistente.

Questa onda procede sulle rotte aperte dall’altra campagna. Parzialmente “dimenticata” dalla maggioranza dei grandi mezzi di comunicazione, l’iniziativa ribelle si fa sentire con grande forza nei commenti che corrono di bocca in bocca per le regioni in cui passa. Le sue orme ed il suo impatto si possono seguire sulle autostrade dell’informazione che circolano nella galassia di Internet. Un dato rivelatore di questo fenomeno: il numero di consultazioni dell’ altra nella pagina di Internet de La Jornada è 2,3 volte superiore a quello raggiunto da tutte insieme le campagne elettorali di tutti i candidati alla Presidenza della Repubblica.

A differenza della Marcia del Colore della Terra che gli zapatisti realizzarono nei mesi di febbraio e marzo del 2001, l’altra campagna non si propone di realizzare grandi concentrazioni di massa. La mobilitazione dell’inizio del sessennio del presidente Vicente Fox aveva un fine ben chiaro: far pressione sul Congresso affinché legiferasse su diritti e cultura indigeni secondo l’accordo preso dalla Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa). Era necessario evidenzire un forte appoggio popolare. Invece, il nuovo esodo ribelle ha un obiettivo più ampio ed ambizioso: dare forma all’enorme scontento esistente tra i settori più politicizzati del paese e costruire una forza capace di trasformarsi in un nuovo potere costituente. Il suo compito è essenzialmente organizzativo.

L’altra campagna ha poca influenza sulla parte del Messico in basso che vede la candidatura di Andrés Manuel López Obrador come la via principale per risolvere le sue rivendicazioni ed aspirazioni. Irrita e sconcerta gli intellettuali che ripropongono inutilmente il voto utile a favore del candidato della coalizione “Per il Bene di Tutti“, ma non gli fa cambiare opinione. Ancor meno incide su coloro che sono abituati ad utilizzare le elezioni per negoziare piccole concessioni materiali in cambio del voto, in quello che si chiama: suffragio della fame.

Invece l’altra campagna sta avendo grande ascolto fra i proscritti, fra la gente comune che non si sente difesa dai partiti e non si trova bene nell’attuale sistema di rappresentazione politica. Fin dal suo avvio, essi sono stati i principali destinatari del suo messaggio. Si tratta di un settore che non è maggioritario nella società, ma numeroso e, se mobilitato, può trasformarsi in un indubbio elemento di trasformazione politica.

Le presenze alle riunioni con il delegato Zero in questo mese e mezzo di giro mostra una variopinta banda di vecchi e nuovi insubordinati sociali: pescatori, piccoli commercianti, contadini colpiti dalla costruzione di opere infrastrutturali, operaie della maquila, indigeni, colpiti dai disastri naturali che non sono stati aiutati dal governo, indigeni e contadini poveri che difendono il mais creolo e sono nemici dei transgenici, insegnanti democratici, prostitute, omosessuali, lavoratori e giovani.

Le assemblee popolari sono anche un riassunto dei resti del naufragio della sinistra radicale in Messico. Vi si danno appuntamento molti dei gruppi sopravvissuti alla caduta del Muro di Berlino, all’assorbimento del socialismo da parte del nazionalismo rivoluzionario ed alla trasformazione delle organizzazioni popolari indipendenti in cinghie di trasmissione del Partito della Rivoluzione Democratica (PRD). Ed insieme a questi gruppi, partecipa una moltitudine di collettivi autonomi promotori di lotte di rivendicazione che sono, in parte, figli dello zapatismo.

Quelli che hanno preso la parola negli incontri hanno narrato delle umiliazioni che subiscono ed hanno espresso un enorme malessere per la situazione economica e politica esistente, un forte anelito alla giustizia ed un’enorme ostilità sia verso i politici di professione che le classi benestanti. Senza esagerare si può dire che la loro condizione è disperata.

Queste riunioni non sono meeting per far pressione sulle autorità governative che possano quindi rispondere alle rivendicazioni. Non sono neanche eventi elettorali nei quali ci si aspetta che i candidati si impegnino nella soluzione di petizioni specifiche. Sono, invece, uno spazio per rendere pubblica la memoria delle offese subite, il terreno per dialogare sui propri patimenti ed aspirazioni condivise. Lì si sta creando un linguaggio comune tra quelli che fino a poco tempo fa non potevano parlare fra di loro. Una linguaggio che la gente colta disprezza e non capisce bene.

Le campagne elettorali si chiedono: che cosa facciamo con i poveri? L’altra campagna si interroga: che cosa facciamo con i ricchi? E risponde: lottare contro di loro. In un’epoca nella quale il sole della lista dei milionari di Forbes proietta un’ombra che rende invisibili quelli in basso, il periplo zapatista addita quelli in alto e li responsabilizza del disastro in cui vive il paese. Recupera così un vocabolario di classe in un’epoca in cui la sinistra istituzionale cerca di disfarsene. La sua parlata è sempre di più imparentata ai proclami ed ai manifesti delle ribellioni indigene e contadine del secolo XIX e con i programmi di lotta operaia e popolare del secolo XX.

Inoltre, il nuovo esodo ribelle mette il dito nella piaga di un problema nodale della lotta popolare in Messico, per il quale la sinistra di partito sembra soffrire di una grave amnesia: la persistenza dei prigionieri politici. Che si sappia, nessuno degli aspiranti alla presidenza ha messo un piede in una prigione per visitare dirigenti sociali ingiustamente reclusi.

Una grande tensione attraversa al paese. Già si sente l’irrompere dell’onda.

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