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Narco News Issue #43

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Donne Zapatiste: “Siamo noi che teniamo insieme la Comunità”

Un anno dopo la morte della Comandante Ramona, le donne Civili ed Insurgenti parlano del Loro Movimento dentro il Movimento


di Ginna Villarreal
Speciale per The Narco News Bulletin

24 gennaio 2007

Dicembre 31 2006 – Oventic – Chiapas – “Come donna e come persona indigena ho molto da imparare e molto da insegnare”. Queste sono state le parole della Comandante Zapatista Sandra, quando ha aperto la sessione dedicata alla battaglia delle donne dentro alla lotta di tutta la gente. Nelle comunità Zapatiste, ed in altre comunità indigene già incluse nelle lotte esterne, a volte le battaglie interne possono essere sottovalutate. In questa occasione, i popoli del mondo sono stati invitati ad ascoltare le storie di queste donne, le loro resistenze ed i loro trionfi.


Foto: D.R. 2007 Jesús Domínguez
Al tavolo sono allineate con i volti coperti da passamontagna le donne del movimento Zapatista. I loro occhi espressivi enfatizzano le parole che proferiscono. Queste donne rappresentano un movimento per liberare con dignità e rispetto il popolo indigeno del Chiapas dalla discriminazione.

Anche loro rappresentano una lotta per la dignità ed il rispetto delle donne in quelle stesse comunità, ed anche se sono molte, sono ancora poche quelle che hanno voce. Riunite al tavolo ci sono donne sia civili che insurgenti. Sono membri dei cinque Caracol e lavorano in tutte le aree di governo: sono promotrici di salute e di educazione. Sono anche insurgenti e comandanti dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Oggi la loro voce è per parlare a nome delle molte altre donne che chiedono i loro diritti e di essere riconosciute.

Il lavoro delle donne e la presenza delle donne vengono spesso ignorati e sottovalutati. L’obiettivo di questa riunione era, anche, quello di render noto come molta parte della produzione e riproduzione della casa, della famiglia e pertanto della comunità, è frutto del lavoro delle donne.

“Lavoriamo la terra, lavoriamo il caffé, il campo di mais, nei collettivi, a far le tortillas e nelle panetterie” – dice una.

Una lettera delle donne del Caracol (termine Zapatista per i capoluoghi dei municipi autonomi) di Roberto Barrios, narra dettagliatamente il lavoro quotidiano nelle comunità: “Ci alziamo alle tre o alle quattro del mattino per accendere il fuoco per preparare da mangiare per la famiglia, per fare il caffé per la colazione dei nostri mariti e dei nostri figli… Dopo lavoriamo il mais per alimentare gli animali. Svegliamo i figli, diamo loro colazione e li prepariamo per andare a scuola”.

Lavare, pulire, preparare il cibo ed alimentare tutti, sono i compiti fino a mezzogiorno: è solo dopo che tutti hanno mangiato anche pranzo che le donne hanno alcuni momenti liberi per se stesse, per fare un bagno, per poi tornare a casa di nuovo a preparare la cena della sera. Questa è la vita di una donna della campagna nelle comunità indigene. Con le parole di una delle donne riportate alla lettera: “noi siamo quelle che teniamo unita la comunità”.


Foto: D.R. 2007 Jesús Domínguez
Nonostante la lunga lista di responsabilità rappresentate dal lavoro delle donne, c’è ancora un’incredibile mancanza di rispetto per i lavori e le necessità delle donne nelle comunità indigene.

L’assemblea ha raccontato la continua lotta delle donne per avere uno spazio nelle loro comunità. Una delle barriere per una posizione equilibrata delle donne nelle loro comunità, menzionata dalle rappresentanti, è la mancanza di visibilità pubblica e di rappresentanze pubbliche. “Noi rimaniamo in casa perché dobbiamo lavorare e lavoriamo sole. Quando noi lavoriamo [in posti pubblici] ridono di noi, ma ci sono molte di noi che lottano nonostante tutto”.

Anche se c’è ancora mancanza di rappresentanza della voce delle donne in posti o incarichi pubblici, queste donne sono la forza di un movimento che invita alla vera partecipazione per tutti, da parte di tutti ed in tutti settori della società.

Come la maggioranza delle discussioni sulla posizione delle donne nell’EZLN e nelle sue comunità civili, in questo tavolo ed in altri incontri della riunione di fine d’anno in Oventic, l’opera e la leadership della Comandante Ramona sono state esaltate come un esempio di come le donne possono avere successo all’interno del movimento.

Ramona ha ispirato molte altre donne: Zapatiste, non-zapatiste, indigene e non-indigene. Come una delle più importanti figure del movimento, questa piccola donna tzotsil è dventata famosa ed è stata rispettata in tutta la nazione e nel mondo già da molto prima della sua morte nel gennaio del 2006. Come lottatrice insurgente ha guidato la battaglia con cui, il 31 dicembre 1993, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale occupò la città di San Cristóbal de Las Casas. Come diplomatica, Ramona fu una delle principali redattrici della Legge delle Donne dell’EZLN. Poi ha guidato la delegazione del 1996 a Città del Messico per i dialoghi di pace ed è stata co-fondatrice del Congresso Nazionale Indigeno.

Il potere di questa donna ed il lascito della sua opera si fa sentire in riunioni come queste, dove si ascoltano le grida di “Viva Ramona! Viva!”.
A testimonianza dell’importanza internazionale della sua opera, un rappresentante del Kurdistan ha parlato di un ponte di solidarietà che si sta costruendo col suo nome.


Foto: D.R. 2007 Jesús Domínguez
Donne come Ramona, come altre numerose che hanno preso sulle loro spalle l’onere della lotta per dar un posto alle donne a fianco agli uomini nella lotta per le loro comunità e le loro famiglie, hanno aperto lo spazio per le donne in queste comunità. Magdalena ed Elena del Caracol II, di Oventic, parlano dei risultati ottenuti attraverso i lavori collettivi delle Zapatiste.

“Nella nostra zona, prima della lotta Zapatista, le cose erano differenti. Non avevamo diritto di decidere con chi ci volevamo sposare. E quando ci sposavamo eravamo maltrattate, picchiate ed umiliate dai nostri mariti ed ancor di più quando erano ubriachi. Ma non possiamo incolpare i nostri nonni, questa è stata l’eredità che ci hanno lasciato 500 anni di conquista”.

Invece di adattarsi ai patimenti delle donne, o a dedicarsi a distribuire le colpe, queste donne si sono date il compito di indagare per capire da dove arrivava la loro emarginazione e dove si manifestava. Quindi è giusto che celebrino con legittimo orgoglio i loro risultati in tutti i settori della comunità.

Per le donne in queste comunità l’apertura di cooperative è stato uno dei modi con cui si sono organizzate fra di loro. Una delle principali fonti di entrata per molte famiglie è l’arte dei tessuti delle donne. Una breve passeggiata per il centro di San Cristóbal e degli altri paesi e città de Los Altos del Chiapas, ci inonda dei colori ed i tessuti prodotti dalle mani di donne.

Per molte donne questo lavoro è solo uno in più tra una moltitudine di altri compiti ed è il prodotto di una consacrazione ai dettagli. Anche se i tessuti sono tanto preziosi e belli come la cultura che li produce, è molto grande lo sfruttamento del lavoro delle donne quando viene loro richiesto un pezzo o lavorano per contratto.

Le cooperative di queste donne hanno reclamato il diritto a decidere da loro il modo in cui vogliono lavorare ed il salario che spetta loro. L’organizzazione è delle donne e per le donne. In questo modo, si sono iniziati nuovi programmi che danno continuità alla struttura ed ai successi delle cooperative artistiche, di allevamento, di orticoltura, di produzione di tortillas, di panetterie e di negozi collettivi.


Foto: D.R. 2007 Jesús Domínguez
Da una parte, queste cooperative sono un modo col quale le donne reclamano il diritto a controllare i loro stessi mezzi di produzione. È importante però comprendere che la creazione di questi collettivi, anche se mettono i frutti del lavoro nelle mani di chi lo produce, e stimolano la vita pubblica delle donne indigene, sono anche un promemoria di come alle donne venga richiesto del lavoro extra al loro sforzo quotidiano per mantenere la famiglia.

Dove la famiglia era capace un tempo a provvedere al bisogno di tutti, ora c’è necessità di un’entrata in più per arrivare a quanto serve di base. Questi progetti servono pure a ricordare che il capitalismo ha battuto di nuovo il tessuto e la tela di una cultura. Dove una volta le donne tessevano per se stesse, ora vendono i loro tessuti e commercializzano il loro lavoro.

Magdalena ed Elena, rappresentanti de Los Altos del Chiapas del Caracol II di Oventic, dove si teneva l’incontro, ci ricordano, con le loro parole, che “con questa partecipazione da parte delle donne, dimostriamo il nostro valore e la nostra collera di fronte al mal governo e contro le ingiustizie…”.

(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)

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