<i>"The Name of Our Country is América" - Simon Bolivar</i> The Narco News Bulletin<br><small>Reporting on the War on Drugs and Democracy from Latin America
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Narco News Issue #43

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La nostra migliore frontiera

La società è altra e la illegittimità dei tre poteri sì che importa


di Hermann Bellinghausen
La Jornada

11 dicembre 2006

Che cosa pensare quando quelli in alto divengono ossessivi, fanatici invocatori dell’ordine, agiscono nel completo caos e si dispongono a fare perfino il salto mortale che separa “la legalità”, persino la loro, dallo “stato di eccezione”? Significa che non stanno più in piedi. Che il ripudio popolare che stanno affrontando è formidabile ed ogni giorno costa di più spegnerlo. Ci gettano in faccia gli squadroni, gli arresti illegali, generali ed ammiragli, tortura normalizzata, sparizioni, calci ai tavoli, impiego protonazi dei mezzi di comunicazione (come quella “Radio Cittadina” che Goebbels ha lasciato in eredità alla banda di Ulises Ruiz). Saltano gli schemi costituzionali con molta più facilità che quando si imbattono nella gente che resiste, nelle barricate e nei presidi.

Il governo rende di giorno in giorno sempre più famose le prigioni del paese, con il suo metodo di castigare in celle orribili, e se lontane tanto meglio, i ribelli di Oaxaca (ed altra gente che stava passando) ed Atenco. Tale severità l’esibivano solo quando catturavano grandi capi o fratelli scomodi. Che tempi quelli! recenti ma ormai andati. E questi criminali se la passano in gattabuia molto meglio che Catarino Pereda, Ignacio del Valle, Jacobo Silva Nogales e le centinaia di prigionieri politici che sotto la linea di affioramento dei diritti umani adornano la facciata del regime calderonista.

Lo scenario è preoccupante, ma anche incoraggiante. Una borghesia potente e ricca come mai, che però trema. La spaventa la sua stessa fragilità. Corpi di ferro, gambe di legno tarlato.

Funzionari come Francisco Ramírez Acuña, Eduardo Medina Mora, Miguel Ángel Yunes o l’indagabile Juan Carlos Romero Hicks non passerebbero un esame per un posto di lavoro in un paese democratico.

Però rimangono sempre le classi sociali. E quelle in basso sono inoccultabili e sono la maggioranza. Offese e stufe come mai. Sembrerebbe più pratico attaccarle separatamente per dividerle o rifilar loro dei programmi “sociali” a doppio profilo ( Opportunidades, Procede o tutti quelli che riescono ad inventare) o mediante l’induzione a alcool e droghe.

Perché se la “marmaglia” (felice espressione dell’ideologo panista Chespirito) si unisce, attaccarla doventa complicato. Può uscir fuori una Idra, come a Oaxaca, e tutto per non aver ascoltato né negoziato, ma invece tradito alla maniera zedillista (o peggio, ulisista: accetto di dialogare ed alla porta del mio ufficio ti catturo ed ti consegno).

Non è il Messico di Díaz Ordaz, ripetono molti. Neanche quello di Zedillo. La società è un’altra e l’illegittimità dei tre poteri invece importa. Prevale uno scontento generale, profondo ed organizzato. Il numero di messicani infelici è più grande che mai ed il nuovo regime garantisce loro meno educazione, cultura, salute, protezione legale.

Benvenuto a questa Oaxaca nazionale. Lassù in alto sono arrivati ai limiti. Quelli in basso non si trattengono più di fronte ai rischi, intanto stanno morendo. Ed il loro maggior inconveniente è che amano la vita, per questo non piace loro come vivono e questo lo sanno fare bene con abbastanza poco, comunitariamente. Sanno che si può.

Per incominciare, il Messico è più indigeno di quanto si accetti con censimenti, mentalmente, storicamente. E man mano avanza il secolo XXI si generalizza nel popolo l’esperienza degli indigeni, del settore più lucido e chiaro nella sua messicanità. Insegnano alla Nazione generosità, tolleranza, comunalismo. Si sentono preparati come nessuno a resistere e perdurare. Paradosso? Ma invece succede che il sistema economico, lo Stato ed i mezzi di comunicazione non sono democratici, non possono più esserlo, mentre le classi subordinate si ribellano perché sono democratiche, praticano il consenso, la responsabilità, il bene comune, l’esercizio disinteressato degli incarichi di responsabilità. Anche loro, e non solo i predatori corrotti dell’alto, stanno trasformando il paese.

L’apparato politico ed economico appesta. Il giudiziale-repressivo anche. Ma in basso le acque si muovono. Il Messico, quello in basso, cammina, continua a camminare. I popoli risentono del timore per lo stivale del potente che però non li vince. Sono stufi, non disperati. Sono la nostra migliore frontiera. Dentro i suoi bordi c’è tutto quello che il Messico è davvero. Le altre “frontiere” sono un’impostura a favore di coloro che si arricchiscono incredibilmente e ci distruggono.

(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)

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