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Narco News Issue #42

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Simulacri di autodifesa a Oaxaca

Abitanti resistono alla violenza dello stato


di Diego Enrique Osorno
Speciale per The Narco News Bulletin

26 settembre 2006

Un silenzio carico di tensione avvolge tutto: la città è ammutolita come se l’avessero stregata. Non una sola voce, nessun suono si sente da nessuna parte.

Eppure devono essere qui. Qualcuno ha appena avvisato nel Centro Storico che stanno arrivando con un aereo Hércules ed in quattordici camion. I dubbi terminano quando la radio ribelle lancia l’allarme: “Compagni! è arrivato il momento. Bisogna rafforzare le barricate. Dobbiamo difendere la nostra strada, il nostro quartiere, la nostra famiglia, i nostri bambini… Dobbiamo impedire di nuovo che il governo fascista di Vicente Fox e quello di URO (Ulises Ruíz Ortiz) ci reprimano”.

Un mucchio di bombe molotov appaiono, subito, alle casse del HSBC di fronte alla sede della sezione 22 del SNTE. Circa 100 maestri si dispongono agli angoli della strada vicina aspettandosi il peggio. Dalla radio, il sempre più esaltato annunciatore continua a dare “informazioni”. Dice: “Compagni, c’è la notizia che i poliziotti stanno già passando per Miahuatlán…”.

Alcune studentesse incaricate di prendersi cura dei feriti in combattimento sentono come molto vicino quanto annunciato e si vede da lontano che attendono con molta paura. Quelli della commissione di sicurezza dell’edificio magistrale parlano e parlano con cellulari e radiotrasmittenti.

La quiete dell’alba se n’andata via e non ritornerà neanche quando, mezz’ora dopo, i maestri ribelli riceveranno la conferma che la presenza degli agenti della Polizia Federale Preventiva nella città era solamente un falso allarme. La prova generale di autodifesa era già finita.

* * *

Nessuno sa di sicuro quale è stata la prima barricata in città, né chi ordinò direttamente che si costruisse, o se l’Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca l’avesse deciso in anticipo.

Quello che quasi tutti sì ricordano è che un gruppo di pistoleri, che dopo sono stati identificati come poliziotti ministeriali, percorse una notte le strade della città con un convoglio di 30 veicoli e durante la loro passeggiata ammazzarono Lorenzo San Pablo Cervantes, un maestro che proteggeva le installazioni della stazione radio occupata “La Ley”.

La notte seguente, la gente cominciò ad alzare barricate per le strade dei suoi quartieri. Si preparavano così per un imminente ordine di assedio della città inviato da Città del Messico, o per lo meno, come si dice qua: per una nuova “Carovana della Morte”.

Quella prima notte di barricate in città fu quella del 25 agosto scorso. In quelle ore alcune donne – in maggioranza maestre o mogli dei maestri – facevano raccolta di alimenti alle barricate, mentre brigate di studenti dell’Università Autonoma Benito Juárez tappezzavano i muri con una scritta che diceva: “Oaxaca non è Atenco”.

I leader del magistero e dell’APPO discutevano a porte chiuse e correva la voce che la PFP stava per arrivare, ma non successe, anche se i giorni e le notti seguenti, la voce continuò. Per meglio dire, continua.

* * *

Mi assicurava un po’ per scherzo e un po’ sul serio che non aveva niente: niente, nel senso letterale del termine. Parlavamo della povertà, dei poveri di Oaxaca in particolare e mi ha risposto con una domanda a quella che io gli avevo fatto su perché veniva notte dopo notte alla barricata di strada Independencia: “Sa lei, quanto significa il denaro in uno stato povero? Il denaro in un stato povero come Oaxaca ed in un stato ricco come Nuevo León sono cose molto diverse”.

“Nello stato ricco il denaro è un valore col quale lei può comprare determinati prodotti al mercato. Lei è semplicemente un compratore, magari perfino un milionario. Potrà acquisire sempre più cose ma non smetterà mai di essere un compratore e nient’altro. Invece in uno stato povero il denaro è qualcosa di meraviglioso col quale lei può diventare partecipe di qualunque cosa”.

Era un maestro pensionato dell’Istmo di Tehuantepec, che non ho poi più visto alla barricata dove avevamo chiacchierato. Come mi hanno raccontato, una di queste notti ha mollato la sua guardia per ritornare a Salina Cruz perché aveva ricevuto la notizia che gli unici tesori della sua vita – sua figlia e sua nipote – erano morte in un incidente stradale.

* * *

I dirigenti del movimento d’opposizione dicono che ci sono 2mila barricate in città. Ma che cos’è una barricata? Il dizionario della Reale Accademia della Lingua Spagnola lo definisce così: “Specie di parapetto che si fa, con barilotti, con carrozze rovesciate, tavole, pali, pietre della pavimentazione, ecc., usato per impedire il passaggio del nemico, più frequente nelle rivolte popolari che nell’arte militare”.

Qui ad Oaxaca la definizione di barricate cambia un po’ a seconda della zona visitata. Se per esempio si vuole parlare delle barricate del Centro Storico si deve dire che sono fatte con panchine delle piazze pubbliche, o con rocce enormi che non si sa bene come siano arrivate fin qua, o con pezzi del catorcio di un veicolo ufficiale incendiato.

Invece, se si vuole parlare delle barricate del Cerro de la Fortín, come quella che la signora Minerva G. mette di fronte al suo negozietto di alimentari, si dovrebbe dire che le barricate sono fatte con le macerie di alcuni edifici non terminati, ma soprattutto con un’infinità di chiodi che seppur piccoli, sono letali per frenare l’avanzare di qualunque “Carovana della morte” che si azzardi a percorrere quelle sinuose strade.

Così, ogni quartiere o strada della città che decide di unirsi all’APPO fa la barricata a modo suo e per questo ce ne sono già alcune che sono muri insormontabili, mentre altre sono appena un debole riparo se arrivasse un convoglio ad aggredire.

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