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Narco News Issue #43

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Il primo prigioniero politico del sessennio

“A meno di un mese dall’essere entrata in carica, la nuova amministrazione affronta una grave crisi dei diritti umani”


di Luis Hernández Navarro
La Jornada

26 dicembre 2006

Flavio Sosa, uno dei più noti dirigenti dell’Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca (APPO), è stato arrestato il 4 dicembre in Città del Messico. Era appena uscito da una conferenza stampa nella quale la sua organizzazione aveva ratificato la sua disponibilità a riallacciare i negoziati con la Segreteria di Governo.

La sua cattura è stata scandalosamente diffusa dai mezzi di comunicazione. è stata presentata come se il governo federale avesse dato un duro colpo alla delinquenza nel paese. Flavio è stato trasferito alla prigione federale di alta sicurezza di Almoloya de Juárez, nello stato del Messico, dove ci sono assassini, sequestratori e narcotrafficanti.

Sosa è stato accusato di vari reati che non ha mai commesso: attacchi alle vie di comunicazione, furto, furto aggravato con violenza, sequestro, danni per incendio, resistenza alle autorità. Senza esser stato giudicato lo si è presunto colpevole e lo si è considerato un individuo ad alta pericolosità. La realtà è che è un dirigente politico e sociale. Le accuse che gli sono state fatte sono causate della pretesa del governo di Felipe Calderón di criminalizzare la protesta sociale.

Flavio non è mai stato “il dirigente unico o principale” dell’APPO. È stato sì, uno dei suoi portavoce più solleciti con i mezzi di comunicazione. La sua disponibilità a rilasciare interviste, la sua facilità a parlare, la sua conoscenza della problematica locale e la sua capacità di spiegare il movimento, lo aveva fatto diventare un interlocutore naturale e privilegiato di reporter e commentatori. La sua organizzazione, Nuova Sinistra di Oaxaca, è una delle quasi 350 associazioni che hanno dato vita al movimento. E lui si è guadagnato un posto dentro la lotta ma è sempre stato molto lontano dall’essere il capo massimo delle proteste.

Nonostante la pretesa di mostrarlo come un facinoroso a cui prestare attenzione, Sosa non è un radicale. Non è un leader che infiamma. Conosce il valore del dialogo e delle trattative politiche col potere. Ha sempre preso le distanze dalle organizzazioni armate ed ha affrontato personalmente i giovani radicali. È, al contrario, una delle figure più inclini al negoziato dentro al movimento.

Flavio Sosa è nato nella comunità di San Bartolo Coyotepec nel 1953. È stato deputato federale nella LII Legislatura per il Partito della Rivoluzione Democratica (PRD), partito col quale ruppe nel 2000 per unirsi alle file del voto utile che appoggiarono la candidatura di Vicente Fox. Più tardi si reincorporò nelle file del sole azteco. Fondò con altri dirigenti indigeni il Partito dell’Unità Popolare a Oaxaca, un istituto auspicato dal governatore José Murat per rompere l’unità dell’opposizione, che presentò come aspirante governatore Gabino Cué. Ha fatto parte dell’Unione Contadina Democratica (UCD) e, dopo, dell’Unione Nazionale delle Organizzazioni Regionali Contadine Autonome (UNORCA).

Con molto poco spirito autocritico, questa sua versatilità politica è stata fortemente messa in discussione dalla classe politica e dai vari mezzi di comunicazione. Ironicamente però, non è un’esclusiva solo sua, ma è invece ormai un’abitudine dei politici professionali del paese. Gli oggi panisti Juan José Rodríguez Pratts, Florencio Salazar, Francisco Barrio e Felipe González, per citarne solo alcuni, militarono nelle file del partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) e cambiarono bando quando non furono più presentati per il posto a cui aspiravano.

Dopo il 1968 si diceva che il PRI non aveva bisogno di una scuola di quadri perché li prendeva tutti dal Partito Comunista Messicano. La quantità di militanti di sinistra che entravano nelle file del tricolore faceva sì che la battuta fosse credibile.
Oggi le cose sono cambiate. Il PRD si nutre regolarmente dei distacchi dal PRI. La stessa Patricia Mercado, che ha criticato così aspramente Flavio Sosa, è passata attraverso vari partiti politici: fu integrante del Partito Rivoluzionario dei Lavoratori e candidata a deputata per il Partito del Lavoro.

Come moltissime organizzazioni sociali rivendicative a Oaxaca e nel resto del paese, l’organizzazione che Flavio dirige ha ricevuto risorse pubbliche per rispondere alle richieste dei suoi affiliati. Le organizzazioni sociali sono mediatrici legittime per negoziare con i governi la soluzione di rivendicazioni della popolazione povera del paese. Questo fatto, assolutamente naturale e legittimo, è stato presentato a dimostrazione della sua corruzione. Per alcuni mezzi di comunicazione gli unici sussidi giustificati sono quelli che il governo federale concede agli impresari.

Perché il governo federale ha deciso di arrestare Flavio se non era il leader dell’APPO, se faceva parte dell’ala più incline a negoziare e se si preparava a dialogare con la segreteria di Governo?

Perché l’amministrazione di Felipe Calderón ha voluto fare un colpo mediatico, fermando uno dei pochi volti noti della protesta oaxaqueña, pubblicamente identificato col PRD e perché credeva di inchiodare il movimento in una situazione ancor più difficile. Si era fatto di Flavio, la “bestia nera” del movimento, ed i mezzi di comunicazione ne hanno alimentato la fama dopo il suo incarceramento.

Questa decisione è stata una stupidità. Flavio Sosa è in prigione, come ci sono molti altri attivisti, che il governo arresta e libera a discrezione. Nonostante ciò, la necessità che Ulises Ruiz rinunci come governatore di Oaxaca continua ad essere vigente e le mobilitazioni di protesta continuano (e si sono estese a 37 paesi) ed al mandatario statale non obbedisce quasi nessuno. La paura dei cittadini si è trasformata in indignazione.

Flavio Sosa è diventato il primo prigioniero politico del sessennio. Felipe Calderón lo ha fatto diventare una celebrità internazionale. Una ricerca del suo nome su Google arriva a 250mila riferimenti. Wikipedia ha una scheda con i suoi dati.

A meno di un mese dall’essere entrata in carica, la nuova amministrazione affronta una grave crisi dei diritti umani. E, lontano dal diminuire, il problema cresce.

(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)

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