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Narco News Issue #39

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Alle falde del Vulcano di Fuoco, La Yerbabuena ha aderito alla Sesta

Resort internazionale di lusso in contrasto con la povertà delle comunità rurali; i suoi abitanti hanno icevuto pressioni per abbandonare le loro case e le loro terre


di Hermann Bellinghausen
La Jornada

30 marzo 2006

La Yerbabuena, Col., 29 marzo. Sono venuto a Comala perché mi hanno detto che qui c’era un popolo in resistenza. Non era facile per me crederlo. Dicono che da queste parti non ci sono popoli indios. E tanto meno in resistenza, di qualsiasi tipo. Non è per niente, ma i paesi delle parti di Comala e Colima hanno fama di essere poco combattivi, addirittura apatici. Ed uno almeno, Suchitlán, potrebbe sparire presto.

La Yerbabuena ha ricevuto fortissime pressioni affinché i suoi abitanti lascino le loro proprietà e se ne vadano via. Più della metà l’hanno già fatto e sono andati a vivere in case di cemento a La Cofradía di Suchitlán, come La Yerbabuena, nel municipio di Comala. Ma 50 persone si rifiutano di farlo. Infatti, hanno all’Esercito dentro la comunità. Nella casa di cultura; lì hanno installato il loro quartiere.

A La Yerbabuena sono contadini; non si considerano indigeni, ma si trovano nell’unica regione indigena dello stato. Le “ragioni” ufficiali per cacciarli via da qui sono di presunta sicurezza. Il luogo dove questa mattina si tiene una riunione dell’altra campagna, vicino alle case del paese, ai bordi di una piantagione di caffè, si trova a 8,5 chilometri dal cratere del Vulcano di Colima che alcuni anni fa ha ripreso la sua attività con eruzioni ed esplosioni. Secondo come soffia il vento, si può ammirare la sua costante fumarola.

Sono venuto a Comala anche perché mi hanno detto che qua sarebbe arrivato Marcos, il subcomandante Marcos, e che gli aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona si sarebbero riuniti con lui per notificargli che l’assemblea di La Yerbabuena si pronuncia per la difesa dei saperi tradizionali e dei territori delle comunità.

Secondo Antonio Alonso, “l’assemblea ritiene che bisogna pensare ai bambini, affinché sappiano come lottare perché ci sia futuro”. Ed ha aggiunto: “L’assemblea di La Yerbabuena ha fatto sua la Sesta”.

Don Rafa, anziano della comunità, ha esortato a difendere questo pezzo di terra. “Succeda quel che succeda, non permetteremo che ce lo portino via”.

Il risveglio del colosso che non ha mai dormito

Nel 2001, l’anche chiamato Vulcano di Fuoco, mai addormentato, ha ripreso l’attività interrotta dal 1914. Di notte si potevano vedere i fiumi rossi di lava scorrere dagli alti pendii. Ci sono cartoline con queste immagini. Ora si distinguono solchi profondi nel cono dell’alta montagna la cui superficie mostra bizzarri tratti di dimensioni telluriche. La Yerbabuena non ha subito danni, abbastanza protetta dalle colline. Ma le autorità priiste, dicendosi preoccupate per la gente, costruirono per loro dei tuguri lontano dal pericolo. Riuscirono a dividere le famiglie.

Se don Rafa ed un certo numero di yerbabuenenses non avessero opposto resistenza, avrebbero svuotato il paese. Il loro argomento è che le terre appartengono loro; se il vulcano esploderà, se ne andranno con le proprie gambe, senza ricevere in cambio nessun’altra casa, e ritorneranno non appena il vulcano si sarà calmato. Ma il governo sembra realmente interessato a questo ejido “senza futuro”. Strano, no?

Ma sono venuto a Comala perché mi hanno detto che qua c’era uno dei hotel ( resorts) più esclusivi e lussuosi del mondo. Attaccato a La Yerbabuena, a El Jabalí. E le cose hanno incominciato ad apparire non più così strane. Un amico ha visitato il resort in Internet. Una notte lì costa tra i 2.500 e 3.100 dollari. La notte. Deve essere un posto fantastico, mi sono detto. Con pista di atterraggio per jet privati. Gli ospiti arrivano direttamente senza sporcarsi le scarpe col suolo del Messico.

Così lo descrivono nella loro pubblicità: “Tra il Vulcano del Fuoco e il Nevado di Colima giace la maestosa Mahakua, Hacienda San Antonio, primo centro vacanze di Amanresorts in Messico (catena il cui nome deriva da una combinazione di sanscrito ed amerindo che significa ‘Gran Comunità). Costruito nel 1879 dal produttore di caffè tedesco Arnoldo Vogel, oggi la tenuta consiste di (sic) 470 acri che fanno parte di una fabbrica (sic) di caffè e di lavorazione del latte di 5.000 acri, attualmente in produzione”.

Oltre a lussi indicibili, verdure biologiche prodotte in proprio, serbatoi e specchi d’acqua, il posto offre una privacy assoluta, cosa che ha reso la tenuta destinazione turistica di principi e principesse di Arabia ed Europa, stelle di Hollywood e milionari di Forbes. La sua pubblicità aggiunge: “Nella proprietà si trova un acquedotto di pietra vulcanica, risalente al 1904, che attualmente continua a fornire acqua alla tenuta ed ai suoi estesi giardini di esuberante vegetazione inspirati all’Alhambra di Spagna. La cappella San Antonio, di architettura neoclassica religiosa del XIX° secolo, attualmente viene utilizzata per feste speciali. Questo magnifico hotel di sobria eleganza offre un barlume dello spirito del Messico in un ambiente intimo ed esclusivo, con una squisita gastronomia ed impressionante bellezza naturale”.

Il creatore del resort fu il suo precedente proprietario, “sir” Jimmy Goldsmith, milionario inglese, sicuramente eccentrico, come tutti i milionari inglesi dei romanzi.

Ma questo, che cosa c’entra con La Yerbabuena e la sua resistenza? Come dice una barzelletta locale di Comala, la Hacienda San Antonio include tutto, meno un vulcano nel giardino. E La Yerbabuena ne ha uno.

Amanresorts è l’impresa più redditizia del mondo nel suo ramo. Guadagna circa 75.000 dollari per stanza all’anno. Dopo essere appartenuta al tailandese Adrián Zacha, oggi è amministrata da Lee Hing Developement. Sono dati irrilevanti ai fini di questa cronaca, ma rivelano che i padroni sono capitalisti stranieri.

Tornando all’altra campagna a Colima, sono venuto a Comala perché mi hanno detto che qua ci sarebbero state le telecamere delle grandi televisioni private a filmare tutto e tutti, ma sicuramente non avrebbero mostrato niente nei loro notiziari. Cosicché, per vedere la riunione bisognava venirci personalmente. E mi sono detto: che cosa c’è di male? E’ il mio lavoro. Ma prima ho chiesto l’opinione di Juan Rulfo che dall’oltretomba mi ha risposto: ‘Ci sono aria e sole, ci sono nuvole. In alto un cielo azzurro e dietro esso forse canzoni; forse voci migliori…. C’è speranza, insomma. C’è speranza per noi, nostro malgrado’. E benché in Pedro Páramo Comala sia diverso, ho registrato la sua parola e subito dopo quella di altre persone dei popoli nahuas di Suchitlán, Zacualpa e Ixtlahuacán.

Juan Carlos, ejidatario, ha dichiarato nella riunione dell’altra campagnache Suchitlán è uno degli ejidos più antichi del paese. Infatti è una delle comunità più antiche: data dal 1524. Attraverso il Corett, si sono assegnati titoli di proprietà dei caseggiati urbani di Suchitlán affinché i proprietari possano vendere, cosa che si è trasformata in un’epidemia, e chi non l’accetta è perseguito perfino con la prigione, come la signora Eugenia, già commissario ejidal, che da questa carica si era opposta alla privatizzazione del paese. Adesso l’accusarono, senza fondatamento, di aver ucciso il fratello; l’hanno messa in prigione. Poi, l’hanno liberata perché non c’erano prove. Ma il commissariato era già passato in mani più “propizie”.

Una recente monografia definisce Suchitlán come comunità ad “autogestione comunitaria minimizzata”, e dice: “Tradizionalmente l’amministrazione comunitaria è stata appannaggio di persone o gruppi di potere politico ed economico che distribuiscono donazioni per trasportare gente a manifestazioni populiste. I programmi di aiuto ai più bisognosi hanno una forte connotazione paternalistica che annichilisce la capacità di gestione dei beneficiari” (Suchitlán, un acercamiento holístico, de Francisco Javier Cárdenas Munguía, Universidad de Colima, 2005).

Lo studio aggiunge che “la cultura della partecipazione non si è sviluppata nella regione, questo unito alle condizioni socioeconomiche degradanti per le quali è passato il paese”. La coscienza della partecipazione dei destinatari delle decisioni di carattere comunale non è stata incoraggiata nemmeno “nella promozione della religione cattolica”.

Suchitlán potrebbe sparire presto, ammette oggi Juan Carlos, un uomo che ha deciso di abbandonare l’apatia, come altri, e tentare di salvare il suo paese dall’attacco finale del capitalismo. Nel municipio di Comala, il turismo è controllato da quattro famiglie benestanti legate ai governi priisti di uno stato dove si suppone che non succeda niente, la vita è tranquilla. Ciò nonostante, il maestro Angeles Márquez rivela che è il secondo stato messicano per violenza sessuale contro le donne; l’omofobia è abitudine sociale ed abbondano i problemi sanitari. A Manzanillo proliferano pornografia infantile e narcotraffico.

Un altro villaggio nahua di Comala, Zacualpa, sta morendo prosciugato a morte dal governo che estrae l’acqua dal Cerro Grande per fornire il liquido a Colima, Villa de Alvarez e all’impianto della Coca Cola a Tecomán. Sottoposti ad un programma “di servizi ambientali”, gli abitanti non possono disporre della propria acqua e dipendono da “pentole” che raccolgono acqua piovana. E qua non piove molto.

Secondo lo scienziato Sergio Graff, dell’Università di Guadalajara e promotore di questo prosciugamento, Zacualpa (così come Lagunitas, Campo Cuatro e Terrero) è una “fabbrica di acqua” (concetto allucinante oltre che centralista).

L’evento dell’altra campagna trascorre con il delegato Zero seduto su una modesta sedia, davanti ad una specie di pulpito scolpito in un tronco che trascrive le testimonianze ed i progetti del centinaio di colimenses qui riuniti sotto una tenda. Diversi striscioni denunciano la banca HSBC per aver cancellato i conti sui quali arrivava il denaro delle comunità zapatiste in Chiapas: “HSBC, la banca razzista del mondo”, parafrasando la pubblicità.

Partecipano non solo indigeni e contadini. Anche collettivi urbani, aderenti individuali alla Sesta, universitari, artisti e difensori dei diritti umani. Tutti loro sono venuti qua, a Comala, per opporsi alle molteplici distruzioni del neoliberismo terminale. Non vogliono che la vita qui finisca con un colpo secco a terra sgretolandosi come un mucchio di pietre.

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